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Promoveatur ut amoveatur (sia promosso affinché sia rimosso), la vecchia locuzione latina spiega bene l’ascesa di Marco Minniti agli Interni. Sono in molti a pensare che questa nomina sia stata l’unico modo per togliergli la delega ai Servizi, una circostanza che aveva percorso senza successo anche Matteo Renzi.
Si ricorderà la vicenda di Carrai super consulente di Palazzo Chigi alla cyber sicurezza nazionale, un progetto che fu stoppato dallo stesso Minniti supportato in questo dagli stessi apparati di sicurezza. Intorno alla delega dei Servizi pare si siano registrati momenti di tensione. Alla fine però, almeno per ora, pare abbia prevalso la strada istituzionale del congelamento con la delega trattenuta dallo stesso neo Premier.
Tuttavia, nonostante questi retroscena sulla delega ai Servizi, non deve essere stato un sacrificio per Minniti transitare sul colle del Viminale, nomina di prestigio che gli consente di conquistare un primato nella sua carriera, quello cioè di essere il primo calabrese nella storia repubblicana a ricoprire il ruolo di uno dei più importanti dicasteri del governo. Prima di lui solo Giovanni Nicotera riuscì nell’intento, ma eravamo nel regno d’Italia, Nicotera, infatti, fu nominato Ministro degli Interni il 25 marzo 1876, nel primo governo Depretis e poi ancora il 6 febbraio 1891 nel primo governo Starrabba. Per ironia della sorte, dunque, nonostante la disfatta calabrese al referendum, la crisi di governo e il cambio della guardia alla Presidenza del consiglio, gli ultimi avvenimenti sembrano aver rafforzato il nostro corregionale nella compagine di Governo.
La carriera di Minniti negli ultimi 20 anni la si può definire come una carriera tutta al servizio dei gangli più delicati dello Stato: dalla Difesa ai Servizi segreti D’Alema e Amato, poi vice di Amato agli Interni nel governo Prodi e ancora sottosegretario ai Servizi sia con Letta che con Renzi. I governi passano, Marco Minniti rimane.
Di Marco Minniti si può dire di non essere mai stato eletto, anzi, le uniche volte che si è presentato nei collegi della sua città, quando era in vigore il Mattarellum, dapprima fu sconfitto da Amadeo Matacena e poi da un oscuro ginecologo di Villa San Giovanni, i suoi delatori spesso utilizzano questa storia nel tentativo di ridimensionarne il prestigio, una delazione, comunque, dallo scarso successo.
Piaccia o non piaccia, Minniti è stato, ed è, l’unico calabrese vero protagonista delle dinamiche nazionali negli ultimi 25 anni. Il resto sono chiacchiere. Colto, elegante e cinico, Minniti si è sempre mosso con abilità e certamente con grandi coperture nelle dinamiche politiche nazionali. Con i compagni calabresi ha sempre utilizzato il metodo del bastone e della carota. I suoi oppositori non hanno mai fatto grande strada. Lo stesso Oliverio che ha conquistato la presidenza della Calabria cercando di ignorare Marco, successivamente è incorso in una serie di scivoloni, i quali, secondo i ben informati, erano trappole tese dallo stesso Minniti, a cominciare dallo scivolone Lanzetta fino ad arrivare al trappolone Scura. Leggende metropolitane? Fantasie? Può darsi, certo è che, da Adamo ad Oliverio, da Magorno a Sebi Romeo. Quando il PD calabrese o la Giunta Regionale sembrano soffocare nella palude della guerre tra bande correntizie o nei rapporti burrascosi con il governo, i big locali si mettono in processione per chiedere a Marco di appianare le cose e, Marco, le appiana o meglio, almeno per un po’, calma le acque, fino alla all’emergenza successiva, con la filosofia di chi ritiene che non bisogna rifocillare troppo gli “amici serpenti”, altrimenti appena si riprendono mordono per primo il rifocillatore.
E Marco si guarda bene di rafforzarli, così li lascia sempre in mezzo al guado. Il prossimo appuntamento è per il 19 dicembre, a lui infatti è stato chiesto di chiudere la direzione regionale calabrese, obiettivo: salvare il soldato Magorno.
Temuto più che stimato, sono in molti a pensare che quando i compagni di viaggio cercano di autonomizzarsi o di prendere potere, scatta sempre una buona inchiesta che li tiene sotto schiaffo. E sono in molti a pensare che, dietro queste inchieste ci sia spesso la mano di Marco. Vero o falso che sia, anche questo aiuta ad alimentare l’aurea dell’uomo di potere. D’altronde ad Andreotti lo accusavano di avere un dossier per tutti e per 50 anni è stato inamovibile.
Ora su uno dei colli più importanti del potere romano c’è Marco Minniti, vere o false che siano le illazioni su di lui, una cosa è certa: questo 60enne cresciuto nel PCI, dall’eleganza curiosa, dalla cultura un po’ snob costruita in riva allo stretto, ha conquistato la poltrona che prima di lui hanno avuto De Gasperi, Fanfani, Segni, Cossiga, Scalfaro, Napolitano, e gli ultimi 4 sono diventati anche Presidenti della Repubblica. Cosa ci guadagnerà la Calabria è difficile saperlo, forse nulla, oppure tanto, le vie della politica sono infinite, tuttavia, a Minniti a questo punto toccherà, il compito di salvare questa “sderrupata” classe dirigente calabrese del PD oppure di seppellirla per sempre.
Pablo