di Agazio Loiero*

Archiviata per il momento dal bravo avvocato Conte, attraverso un cavillo legale, la questione della Tav, i futuri problemi del governo gialloverde restano tutti in campo. Per primo la ormai famosa Autonomia differenziata. Questo è l’unico scottante argomento per il quale non Di Maio, come sembrerebbe più logico, ma Salvini sarebbe disposto a dichiarare, per equilibri interni alla Lega, una crisi di governo. Se l’Autonomia, nella versione pretesa da Zaia, il presidente del Veneto, fosse approvata dal Parlamento, i danni che potrebbe arrecare alla fragile coesione del nostro Paese sarebbero incalcolabili. Eppure, l’immagine di un Paese in frantumi, visti i fantasmi che sul tema s’aggirano nel mondo, dovrebbe fungere da spauracchio per noi italiani. Soprattutto per quelli del Sud, per i quali l’unità rappresenta un rifugio di sopravvivenza.

 

Faccio qui velocemente, per dovere di cronaca, un breve cenno alla sostanza della questione di cui per fortuna, grazie a una schiera di intellettuali, di politici, e di persone di buon senso, da mesi si dibatte specie nell’Italia meridionale. Alcune regioni del Nord, sfruttando una leggerezza compiuta a fin di bene dal legislatore del centrosinistra nel 2000, in un periodo storico in cui la Lega gridava alla secessione, tendono a scardinare, attraverso la rivendicazione di un’Autonomia forsennata, l’assetto unitario del nostro Paese.
Piegano il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, che prevede “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia...” ad una propria distorta interpretazione. Attingere infatti direttamente, senza alcun filtro, al gettito fiscale del proprio ricco territorio in una misura ingente (il Veneto pretenderebbe il 90 per cento) significa ridurre drasticamente quel fondo perequativo con cui lo Stato tiene a stento in vita i territori con minore capacità fiscale, tra cui, per prima, la Calabria.
Tale fondo non è un lascito generoso che le regioni del Nord concedono alle regioni in difficoltà. È un principio stabilito nella nostra Costituzione, in cui il compianto Norberto Bobbio scorgeva il nuovo patriottismo repubblicano. In tutte le nazioni democratiche dell’Occidente in cui persistono forti disparità economiche è infatti lo Stato, d’imperio, ad attuare un riequilibrio.
A cominciare da quella stessa Germania, dove pure in passato, un gigante della politica, come il Cancelliere Helmut Kohl, dopo la caduta del Muro, investì una somma altissima, per allargare agli sfortunati fratelli dell’Est comunista la sfera di libertà e di benessere di cui godevano i tedeschi dell’Ovest. Se, mettiamo il caso, all’epoca Zaia fosse stato presidente della ricca Baviera avrebbe dovuto docilmente allinearsi alla politica di Helmut Kohl. Altro Stato, altra storia. Solo in una certa Italia, quel fondo destinato a garantire diritti di cittadinanza ai territori con minore capacità fiscale fa scandalo.


Con questi chiari di luna spero che i problemi politici che ruotano intorno al tema dell’Autonomia siano ben presenti ai parlamentari del M5S, i quali, di qui a poco, saranno chiamati ad affrontare in Aula questo delicato problema. Nel voto sull’Autonomia – qui non c’è codicillo che tenga - è in ballo la coesione dell’Italia. Faccio qui un’annotazione conclusiva. L’unità è stata per lunghi secoli il sogno e insieme il rovello di una minoranza di italiani illustri: poeti, letterati, musicisti, uomini di cultura. Ne segnalo uno per tutti, il più grande, Dante Alighieri, il quale nel IX canto dell’Inferno, circa settecento anni fa, nelle visionarie notti dell’esilio, arriva tracciare i confini del Belpaese “ Si come ad Arli, ove Rodano stagna/ si com’a Pola, presso del Carnaro/ ch’Italia chiude e ‘ suoi termini bagna”.


A noi italiani sono stati riconosciuti, lungo l’arco dei secoli, da parte di altri popoli, estro, talento, inventiva e altre risorse della mente. Alcuni banchieri di grandi città del Rinascimento prestavano monete d’oro a monarchie consolidate, che dominavano il mondo. Chi va al Met di New York può ammirare un quadro del Bronzino in cui è rappresentato un mercante fiorentino che stringe nella mano destra, adagiata lungo il corpo, un libro. Il suo sguardo scruta lontano. Intendo dire che nei secoli passati disponevamo di risorse economiche e di cultura. Ci mancava però l’unità statuale, che abbiamo raggiunto molto tardi, a costo di sangue e sofferenze. I fratelli Bandiera, eroi del nostro Risorgimento, trovarono la morte in Calabria. Erano veneziani, della stessa regione di Zaia. Sbarcarono alla foce del Neto, che è il fiume della mia infanzia. Quando mi capita di passare di là, puntualmente me ne ricordo e avverto sempre una leggera emozione. Sarebbe un problema oggi disfarsi dell’unità perché la Lega vuole portare alla festa di settembre a Pontida lo scalpo dell’Italia.


*ex presidente Regione Calabria