VIDEO | La leader di Fratelli d'Italia non ne azzecca una sui social nel tentativo di stare dietro a Matteo Salvini che puntualmente l’asfalta in termini di like ed eco mediatica. Intanto però il suo partito continua ad accogliere i transfughi berlusconiani che non vogliono morire leghisti: 220 gli amministratori locali che negli ultimi mesi hanno cambiato casacca
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Ce la sta mettendo tutta Giorgia Meloni, leader di Fratelli di Italia, per ritagliarsi il suo posticino al sole, ma quasi tutti i tentativi che fa si risolvono in disastrose figuracce.
Come un paio di giorni fa, quando ha proposto di abolire il reato di tortura «perché - parole sue - impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro». Roba da non credere.
Ovviamente è stata travolta da una pioggia di critiche, talmente indignate che è stata costretta a ritrattare parzialmente, cancellando il primo tweet e pubblicandone uno nuovo nel quale ha voluto spiegarsi meglio, affermando che il reato di tortura FdI lo vuole solo modificare, perché «così come è codificato oggi impedisce alle forze dell’ordine di fare il proprio lavoro», e poco male se la legge in questione - approvata nel corso della precedente Legislatura - è arrivata 30 anni dopo la convenzione dell’Onu contro l’uso della tortura e a 16 dai fatti della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto, che sono costate all’Italia diverse condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.
I passi falsi che compie sono causati quasi sempre dalla volontà di stare sul pezzo per cercare di contrastare il protagonismo social di Matteo Salvini, che però puntualmente l’asfalta in termini di like ed eco mediatica. E non potrebbe essere altrimenti, visto che tra Lega e Fratelli d’Italia al momento ci sono circa 25 punti percentuali di differenza nelle intenzioni di voto.
Così capita che per essere più realista del re, Meloni decida una settimana fa di postare un video per sfottere gli organizzatori, a cominciare da Roberto Saviano, della manifestazione di solidarietà nei confronti dei bambini migranti. «La maglietta rossa ce l’ho - dice nella clip -, ora mi mancano solo un Rolex e un attico a New York e allora anche io potrò finalmente pontificare sull’immigrazione come fanno i radical chic». Ma la rete, si sa, non perdona. E così, dopo poche ore, sui social è comparsa una foto della stessa Meloni quando era ministro per la Gioventù del governo Berlusconi, con la sua borsa Luis Vuitton da 1.500 euro poggiata sullo scranno parlamentare. Non proprio un Rolex insomma, ma il target è quello.
Un’immagine, quella con il lussuoso accessorio francese, che inevitabilmente stride con la sua più recente (e polemica) trovata, battezzata “maglietta azzurra”, per esprimere solidarietà ai 5 milioni di italiani sotto la soglia di povertà. Usando l’identico approccio sarcastico al quale lei stessa ricorre per screditare le iniziative politiche avversarie, si potrebbe dire che uno a caso di quei 5 milioni di italiani ci metterebbe almeno 3 mesi di stipendio per comprarsi una Luis Vuitton come la sua.
Ma tant’è. Meloni non si cura troppo delle conseguenze delle sue esternazioni e va avanti per la sua strada.
Come ieri, quando a Roma ha presieduto l’evento “ È sempre più blu”, per presentare i 220 amministratori locali che negli ultimi mesi sono passati con Fratelli d’Italia. Nella stragrande maggioranza si tratta di transfughi di Forza Italia che stanno scappando dalla barca berlusconiana che ormai imbarca sempre più acqua e rischia di affondare. Secondo i suoi conteggi, in Calabria sono 19 i politici che hanno deciso di indossare la casacca di FdI, tra cui i più noti sono certamente il reggino Alessandro Nicolò, che ha lasciato FI dopo 22 anni di militanza e un’ultima candidatura negata, e Wanda Ferro, anche lei un’ex azzurra che con FdI si è candidata alla Camera ed è stata eletta.
«La nostra ricetta è vincente», ha detto entusiasta Meloni celebrando i nuovi arrivi, tra cui il più atteso, l’imprenditore veneto Simone Furlan, fondatore dell’ex Esercito di Silvio. Ma se la ricetta è quella di cannibalizzare un partito morente, Forza Italia appunto, offrendo l’unico approdo a destra che non sia la Lega, c’è il rischio che alla fine la minestra che sta preparando risulti piuttosto annacquata al centro per i suoi gusti gagliardi.
Enrico De Girolamo