Partitini privi di guida e senza l’ombra di quella che possa chiamarsi una strategia. Lontanissimi dalle esigenze e dai problemi della gente Forza Italia e il Pd si sono arrovellati e impantanati per mesi sul rinnovo dell’Ufficio di presidenza di palazzo Campanella. Una questione di cui ai calabresi importa poco o nulla, lasciando in stand by il Consiglio regionale che per due lunghi mesi è stato senza guida e improduttivo. Lo stesso Consiglio che proprio nelle scorse settimane è balzato agli onori delle cronache nazionali per essersi riunito solo sei volte nell’arco del 2017.

 

Non solo. I due principali partiti di sinistra e destra sono anche riusciti a farsi gabbare come dei novellini da Pino Gentile e Giuseppe Graziano e dalla grande area trasversale degli scontenti del Consiglio che ha dettato legge e imposto i propri nomi. Il centrosinistra di fatto è ormai a brandelli. Eccezion fatta per la riconferma di Nicola Irto alla guida del Consiglio con 24 voti (più dei due terzi dell’Assemblea) porta a casa poco o nulla. La riconferma del segretario questore Giuseppe Neri (13 voti) era da considerarsi scontata, mentre si è rivelata praticamente una sconfitta la scelta di sostituire il vicepresidente uscente Francesco D’Agostino con Enzo Ciconte. Ciconte ha raccolto soltanto 12 voti, mentre Pino Gentile (riconfermato vicepresidente di minoranza) ne ha presi 13, uno più del candidato di centrosinistra e più del doppio della candidata della minoranza Wanda Ferro che non è andata oltre i sei. Considerato che la maggioranza nel suo complesso conta in tutto di undici consiglieri, è chiaro che almeno 8 voti su Pino Gentile sono arrivati dal centrosinistra che non ha mantenuto le consegne. Si dirà che è una circostanza già registrata all’inizio della legislatura, ma allora si trattava di un accordo vero e proprio con il centrodestra, figlio dell’intesa nazionale tra Alfano e Renzi.


Oggi Oliverio e i maggiorenti del Pd volevano invece una maggioranza larga su Ciconte. Ed invece devono fare i conti con uno smottamento che fa paura. L’Intero gruppo della Oliverio presidente, ad esempio, è sul piede di guerra. D’Agostino non ha digerito la sua defenestrazione e tutti i consiglieri, Vincenzo Pasqua in testa, non hanno gradito che la riunione di maggioranza non abbia compreso il gruppo che del presidente della giunta porta il nome. A confrontarsi sulle decisione è stato praticamente solo il Pd che perso per strada moltissimi pezzi.

 

Pasqua è ormai prossimo a passare con il centrodestra, ma in tanti hanno perplessità sulla decisione di indicare Ciconte per la vicepresidenza del Consiglio, quando lo stesso era stato rimosso dalla carica di vicepresidente della giunta, perché indagato come D’Agostino. Certo i reati contestati ai due sono diversi, ma il garantismo dovrebbe funzionare sempre e non a corrente alternata.

 In foto: Sculco, Scopelliti, Orsomarco e Dattolo davanti all'ingresso del Consiglio regionale

 

E poi i vari Aieta, Guccione, Battaglia, Scalzo fin qui sempre messi da parte potrebbero essere tra gli altri franchi tiratori che hanno impallinato Ciconte e azzerato le speranze della Ferro. Una spaccatura gravissima a metà della legislatura che soltanto il segretario Magorno, con una puntuale nota stampa, poteva definire una «prova di solidità del Pd». A dimostrare che la guida del partito, così come quella del governo regionale, hanno perso la percezione della realtà.

Ma se Atene piange, Sparta non ride. Forza Italia ha fatto tantissimi vertici durante questa estate per decidere la svolta: Wanda Ferro candidata alla vicepresidenza del Consiglio e Tallini alla carica di segretario questore. Una debacle annunciata e perseguita con granitica ostinazione dalla coordinatrice Jole Santelli, con la supervisione di Giuseppe Scopelliti. L’ex governatore, che è stato visto ad agosto all’hotel lametino che ha ospitato il vertice azzurro che doveva decidere la candidature, non è voluto mancare neanche all’appuntamento con il Consiglio regionale. Prima dell’inizio dei lavori Scopelliti, infatti, è stato visto all’ingresso di palazzo Campanella per gli ultimi suggerimenti. Circostanza che non è sfuggita a Giuseppe Graziano che, soddisfatto per l’esito della votazione, non ha mancato di sottolineare di sentirsi «dispiaciuto per ingerenze esterne».

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E così se all’inizio della legislatura Forza Italia era riuscita a piazzare Graziano nell’Ufficio di presidenza dovendo subire l’accordo Pd-Ncd per la vicepresidenza, stavolta perde anche il secondo pezzo con la sconfitta di Tallini. Preambolo di una rottura ancora più grave con Graziano che, invece, ha dimostrato di aver potuto contare su una dote di 11 voti anche contro il volere dei maggiorenti azzurri. Una sconfitta pesante, ma ancora più bruciante per le modalità con le quali è intervenuta e che sicuramente avrà strascichi ulteriori all’interno del partito degli azzurri. Come dimostra la convocazione per venerdì del coordinamento regionale per venerdì per avviare le procedure per l'espulsione di Graziano dal partito.

Il mattatore di giornata, invece, si conferma Pino Gentile che quando si devono fare i conti con le urne difficilmente sbaglia un colpo.

 

La lezione politica subita da Forza Italia e Pd è da antologia e dovrebbe mettere in guardia i partiti sull’immediato futuro e sulla necessità di un cambio di strategia e gestione. O quantomeno di un confronto interno finalmente libero e costruttivo. Magari a partire dalle idee di sviluppo per una Calabria che sprofonda e che non ha alcun interesse per quello che è stato soltanto un indecoroso balletto di poltrone.

Riccardo Tripepi