La sua maggioranza non si presenta in Consiglio comunale e l’amministrazione Falcomatà entra in crisi. Il centrosinistra targato Pd volta le spalle al sindaco (del Pd pure lui) di Reggio Calabria, assolto dalla Cassazione e pienamente riabilitato dopo otto anni di processo e due di sospensione dalle funzioni di primo cittadino a causa della Legge Severino. Un percorso estremamente accidentato che per Giuseppe Falcomatà si era chiuso con un tripudio di pacche sulle spalle, abbracci e sorrisi carichi di rammarico per l’onta subita e le ambizioni politiche andate a ramengo.

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Da reietto da additare ad esempio che risorgere si può. Insomma, il suo partito avrebbe dovuto portarlo in giro sugli scudi, ostentarlo come un campione gridando “giustizia è fatta” e sfruttare politicamente la popolarità ritrovata. Invece, che fa?  Abbandona l’aula perché non condivide le sue scelte per la formazione della nuova giunta. Intendiamoci, avranno i loro motivi, sicuramente ci saranno mille modi convincenti per spiegare i perché e i percome: la politica non è mai a corto di giustificazioni.

Così - come hanno raccontato oggi anche LaC News24 e Il Reggino - si apre una crisi dalla quale non è escluso che il figlio del sindaco più amato, Italo Falcomatà - che ha guidato la città dello Stretto dal 1991 al 2003 dando inizio alla Primavera di Reggio - esca con le ossa rotte.

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Eppure, appena un mese e mezzo fa, il 25 ottobre, alla notizia dell’assoluzione, Falcomatà era carico di speranza: «Sono stati due anni duri - disse -. Due anni in cui ho sofferto, ha sofferto la mia famiglia, ha sofferto la città. Questa assoluzione restituisce, in parte, le amarezze di questo periodo. Un periodo in cui non mi è mai, mai, mancato il vostro sostegno, il sostegno dei reggini. Adesso per la città ci dovrà essere un nuovo inizio». E invece la città può aspettare. Ancora.