La scelta di Amalia Bruni è ancora una volta frutto di un mortificante casting che non ha nulla a che vedere né con la politica né con l’ambizione di creare un campo inclusivo, ampio e plurale in grado di reggere le sfide di questo tempo
Tutti gli articoli di Politica
PHOTO
di Jasmine Cristallo*
Sono stata per mesi testimone oculare della strategia suicida del centrosinistra e in particolare del Pd calabrese a gestione commissariale. Di fronte a questo scenario dominato dall’incontenibile tracotanza del commissario, ho lottato Nec spe nec metu per la costruzione di una coalizione forte e unitaria che potesse competere con le destre.
Quella a cui ho assistito è stata una strategia portata avanti con il solo scopo di salvaguardare lo status quo e gli assetti di potere locale, esattamente come confermato dallo stesso Nicola Irto che ha parlato di trasversalismo e potere di alcuni feudi.
Una strategia basata sulla salvaguardia di pochi nomi che potessero lasciare libertà di manovra alla gestione autarchica del partito in Calabria che mai ha voluto costruire realmente un progetto di allargamento e di reale condivisione.
Questa terra si conferma, quindi, un laboratorio avanzato di accordi trasversali finalizzati alla tutela di interessi particolari.
Soltanto alla luce di questa amara consapevolezza e di questa scellerata logica politica si può comprendere la strategia di Graziano (Commissario del Pd calabrese) e di Boccia (Responsabile Enti locali del Pd) di predisporre una sconfitta programmata a tavolino. È proprio questo che mi fa dannare: pensare che Pd e de Magistris (perché anche la sua condotta squisitamente autoreferenziale è parte di questa sciagurata condizione) abbiano lavorato per regalarci cinque anni di governo della destra con Spirlì in una posizione di comando. Come si fa a non vedere tutto l’orrore di questa prospettiva?
La scelta di Amalia Bruni, figura di alto profilo in campo scientifico, è ancora una volta frutto di un mortificante casting che non ha nulla a che vedere né con la politica, tanto meno con un progetto politico, né con l’ambizione di creare un campo inclusivo, ampio e plurale in grado di reggere le sfide di questo tempo. Perché non sono sufficienti le buone intenzioni e lo slancio sincero che anima la neo candidata se, alla base, non sono state create le pre-condizioni perché questo sia concretamente realizzabile.
Un metodo del resto già sperimentato, con insuccesso, poche settimane prima con Maria Antonietta Ventura. Gli autori di quella candidatura dal disastroso (e non inaspettato) epilogo non solo hanno reso il Pd (e tutta la coalizione) ancora più fragile generando ulteriore discredito, ma sono rimasti indisturbati al loro posto continuando ad agire come proconsoli in terra di conquista.
L’iniziativa di Mario Oliverio, ultimo Presidente di Regione targato Pd, di formare proprie liste, è la testimonianza più clamorosa della fallimentare gestione commissariale.
Questo è il quadro di una realtà che rende totalmente disarmata questa terra. Qui non è una questione di nomi, ma di necessità di strappare la Calabria alle destre, ma questo lo possono desiderare solo coloro i quali con le destre non hanno mai fatto e non intendono fare accordi.
A Cosenza il trasversalismo è di casa, a Crotone il Pd non ha presentato proprie liste, non si è mai aperta una discussione sulle ragioni che hanno portato alla pesante sconfitta di Callipo, né dopo le sue immotivate dimissioni s’è discusso. Le due candidature recenti sono state decise da un ristrettissimo gruppo e senza il coinvolgimento largo non solo degli iscritti ma persino di molti dirigenti che avevano la sola “colpa” di aver manifestato dei dubbi di metodo.
Abbiamo assistito ad uno spettacolo che offende e umilia tutti, comprese quelle forze che, per essere libere e senza museruola, vengono buttate fuori dal "tavolo" della coalizione costituito e composto dal Commissario che fa partecipare solo chi è d’accordo.
Mi preme sottolineare che molti mesi fa avevo proposto con lo spirito di chi ancora crede nei valori della sinistra, un percorso politico ed un candidato di riconosciuto prestigio che mai ha incontrato alcuna critica ma solo entusiasmo e consenso ed il cui nome, Enzo Ciconte, non è mai stato contestato nel merito, ma cinicamente e meschinamente avversato con sotterfugi e tatticismi della peggiore vecchia politica.
La stessa vecchia politica che per giustificare il proprio timore nei confronti di un nome e di una storia che avrebbero spazzato via rendite di posizione, calcoli egoistici, clientele e lobby diffuse e votate al trasversalismo, e che avrebbe arginato l’avanzata di De Magistris, ora dichiara in squallide telefonate che quel nome non è “passato” perché a proporlo sarebbe stato un movimento dal basso e non la “politica”, quella stessa politica che quel nome non l’avrebbe mai pronunciato perché non funzionale ai propri interessi.
In queste condizioni non posso far altro che constatare l’impraticabilità di partecipare ad una sfida che non avrà né il mio sostegno né il mio aiuto perché la regia è di personaggi che hanno devastato questa regione e con i quali la mia storia non ha nulla da condividere.
Non sarò complice in alcun modo della colpevole consegna alle destre che è stata organizzata. Naturalmente continuerò il mio impegno come portavoce nazionale del movimento 6000 sardine a Roma, Bologna, a Napoli e in altri posti dove sono in corso campagne elettorali realmente competitive con l’amarezza di chi osserva la propria terra vittima di pratiche tribali, approcci coloniali e fallici regolamenti di conti incentrati sulla pura gestione del potere alla vigilia dell’arrivo degli allettanti fondi europei.
*portavoce movimento Sardine