Per Macron l’ex presidente del Consiglio sarebbe l’uomo giusto al posto giusto e ne avrebbe già parlato con il cancelliere Scholz. L’ostacolo maggiore però è proprio l’Italia, ecco perché
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«Sono il signor Wolf, risolvo problemi». L’iconica battuta con cui uno strepitoso Harvey Keitel - Mr Wolf, appunto - entra in scena in Pulp fiction, si adatta anche a Mario Draghi. Certo i “problemi” sono molto diversi: nel film di Tarantino il risolutore veniva ingaggiato per cancellare le tracce di un sanguinolento errore, assicurando che «se fate quello che vi dico e quando ve lo dico» tutto si sarebbe messo a posto. L’ex presidente del Consiglio, invece, dovrebbe guidare l’Europa aumentando il suo peso specifico sullo scenario geopolitico lacerato da due conflitti sempre più cruenti e imprevedibili, quello in Ucraina e a Gaza, e dovrebbe tenere a bada i sovranisti che avanzano con facilità sul terreno indurito dai timori per il futuro.
L’idea di mettere Draghi a capo della Commissione europea, secondo un retroscena svelato da Repubblica, è del presidente francese Emmanuel Macron, che cinque anni fa fu l’artefice principale dell’elezione di Ursula von der Leyen. Oggi come allora il suo interlocutore principale è la Germania, con cui la Francia condivide la leadership di fatto nella Ue. Ad agevolare questo progetto contribuirebbe anche lo stretto legame tra Macron e Draghi.
Della sua idea, dunque, l’inquilino dell’Eliseo avrebbe già parlato al cancelliere Olaf Scholz, spiegandogli perché è il momento di chiamare “Mr Wolf”. I nuovi equilibri internazionali - con Russia, Cina e India ormai palesi antagonisti di Usa (presto al voto con Trump di nuovo in campo) e Europa, pronti a prenderne il posto in cima al mondo -, le tensioni sull’allargamento della Nato e sull’ingresso di nuovi Paesi nella Ue, ma soprattutto l’avanzare apparentemente incontrastato delle destre intimamente antieuropeiste, sono motivi più che validi, secondo Macron, per eleggere un presidente che abbia le competenze e l’autorevolezza per affrontare scenari così complessi, senza essere distratto da ambizioni politiche proprie.
Se il retroscena è fondato, non sarà comunque facile per gli sponsor di Draghi centrare l’obiettivo, e le resistenze maggiori potrebbero arrivare proprio dall’Italia e dalla sua premier Meloni. Ma il condizionale è d’obbligo. La leader di Fdi, infatti, è spesso additata dai suoi avversari come un Giano bifronte, a capo dell’unico partito che a suo tempo non ha sostenuto il governo Draghi restando all’opposizione ma poi, una volta a Palazzo Chigi, ha assecondato tutte le sue scelte, abbandonando l’intransigenza sovranista e allineandosi ai dettami della (ex) odiata Bruxelles. Tanto da essere recentemente inserita nella “Class of 2024”, la lista delle personalità più influenti in Europa redatta da Politico Europe, l’edizione nel Vecchio Continente della testata giornalistica americana Politico.
Un risvolto per certi versi così inaspettato che ha mandato in tilt anche il suo staff, che ha prima ostentato sui social il riconoscimento, salvo poi accorgersi della motivazione, nella quale Meloni viene definita “un camaleonte”, capace di sorprendere con la sua politica oggi saldamente filoamericana. Insomma, non proprio il massimo di cui andare orgogliosi per chi affonda le sue radici nella destra sociale anti-yankee e, in un passato neppure troppo remoto, è arrivato a sostenere che l’Italia dovesse uscire dalla moneta unica.
Con le elezioni europee che si avvicinano a grandi passi e il segretario della Lega Matteo Salvini che sta facendo di tutto per segnare la distanza con la presidente del Consiglio, cercando di occupare lo spazio sovranista che ha lasciato libero, è difficile immaginare una Giorgia Meloni che accolga con favore la candidatura di Draghi alla presidenza della Commissione europea. A meno che il “camaleonte” non sorprenda tutti con un nuovo camouflage e si adatti a uno sfondo che gli altri ancora non riescono a percepire.