L’offensiva di Israele su più fronti messa in atto in questi ultimi mesi, senza che il Mondo Arabo abbia reagito coralmente e con forza, deve essere interpretata in un contesto geopolitico di profonda transizione. I segnali giunti di recente sono netti e convergenti e rientrano, per buona parte, nell’ambito di una delle rivoluzioni del Terzo millennio: la fine progressiva dell’era del petrolio.
Il ministro dell’Industria e delle risorse minerarie dell’Arabia Saudita, 17ma nazione al mondo per Pil e primo tra i Paesi Arabi, ha visitato in queste ore l’Italia fermandosi a Roma, Milano, Cernobbio. Vasto il giro di incontri per Bandar Ibrahim AlKhorayef che ha dichiarato senza troppi indugi: «Puntiamo a diventare un grande hub industriale». L’Arabia Saudita, che allo stato produce 10 milioni di barili al giorno di oro nero sul totale di 81mila a livello mondiale, e terzo dietro solo a Usa e Russia, punta a un rapido potenziamento delle già buone relazioni con il Belpaese perché è interessata ad attrarre e agevolare investimenti in settori strategici: farmaceutica, tecnologie, automazione, turismo, componenti per la produzione di automobili.

In una lunga intervista rilasciata per il Corsera a Monica Ricci Sargentini, AlKhorayef ha spiegato quali siano gli obiettivi di Vision 2030, il programma strategico dell’Arabia Saudita: «Stiamo puntando alla diversificazione della nostra economia come parte del percorso Vision 2030. La posizione geografica ci consente di diventare un grande hub per diverse capacità industriali che aiuteranno la regione a livello globale ma anche ad accedere a Paesi come l’Africa e l’Asia. Crediamo di avere una grande stabilità da un punto di vista politico, monetario e finanziario». E poi, rispondendo a una domanda sull’instabilità politica del Medio Oriente ha detto: «Abbiamo dimostrato che questa situazione non ha influenzato la nostra crescita e la nostra stabilità economica. A livello politico, stiamo facendo del nostro meglio per essere parte di una soluzione. L’Arabia Saudita ha un grande interesse per la stabilità della regione perché a quel punto il nostro potenziale sarà ancora più grande. Quando l’Iraq tornerà, quando la Siria tornerà, quando il Libano tornerà, quando lo Yemen tornerà, immaginate quanto potenziale avrà il nostro Paese, e le persone che investono qui oggi trarranno beneficio da questa stabilità, che deve arrivare in un modo o nell’altro in futuro». Infine un passaggio sul turismo: «Sono sicuro che quando ci sarà più stabilità sarà ancora meglio. Da quando abbiamo aperto al turismo come parte della nostra Vision 2030, abbiamo visto un aumento degli arrivi. Infatti, i nostri obiettivi del 2030 in questo settore sono già stati raggiunti quest'anno».

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Più chiaro di così! La parola chiave è stata una sola: stabilità. Si può ritenere, del resto, che la gigantesca piattaforma strategica battezzata Vision 2030 sia compatibile con una guerra all’ultimo sangue tra Arabi e Israele? Ed ora il pensiero più “cattivo”. Si può pensare che il cambiamento epocale del Mondo Arabo, considerato che le tendenze dell’Arabia Saudita fanno da traino a quelle di altri protagonisti dell’economia petrolifera quali Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Oman…, e delle loro classi dirigenti con spessore più internazionale, possano tollerare a lungo l’azione di Hamas, Hezbollah e Huthi? Ed hanno ancora peso politico-economico, al di là delle questioni religiose e spirituali nei confronti delle quali abbiamo il massimo doveroso rispetto, i contrasti tra sciiti iraniani e sunniti? E lo stesso Iran, com’è ormai chiaro, può ancora immaginare, causa spinte interne ma anche opportunità enormi che ha un Paese tanto ricco, di dover convivere con quanti rifiutano categoricamente soluzioni pacifiche? Ecco allora che le mosse di Israele, solo apparentemente esagerate e pericolose, appaiono in un’altra luce: sta facendo ciò che si deve fare per dare sicurezza ai confini e ai coloni! Tant’è che Netanyahu, con le sue recenti riflessioni, sembra potersi avvicinare, raggiunti gli obiettivi prefissati, a possibili accordi di pace puntando su alcuni traguardi: ritorno degli ostaggi, Hamas non governerà mai più Gaza che verrà affidata a un’amministrazione araba legata all’Autorità Palestinese di Abu Mazen, pieni poteri del Governo di Beirut su tutto il territorio del Libano. L’Arabia Saudita, è vero, chiede la nascita di uno Stato Palestinese, ma qualche mediazione alta e diluita negli anni la si troverà.

Nel frattempo Vladimir Putin ha detto che si avverte più che mai il bisogno di un nuovo ordine mondiale, e si sa che giganti come Cina e India la vedono allo stesso modo. Sul fronte ucraino la notizia principale è quella del rafforzamento ulteriore dell’asse Russia-Corea del Nord. Kim Jong-un sta per inviare 12mila soldati coreani a sostegno delle truppe russe. Ne saranno entusiasti i sostenitori “progressisti” dell’unilateralismo americano targato Joe Biden! Dagli Usa il New York Times spiega come diversi miliardari della tecnologia siano diventati la nuova classe di donatori del Partito Repubblicano, con in testa Elon Musk e suoi alleati della Silicon Valley intenzionati a riportare Trump alla presidenza. La mia personale idea è che, in coerenza con quanto appena scritto in relazione al Mondo Arabo, anche diversi colossi dell’economia americana abbiano metabolizzato che il multilateralismo sia più pacifico, congeniale e adatto per fare business. E soprattutto per affrontare i profondi mutamenti strutturali imposti, ad esempio, dall’intelligenza artificiale. Per recuperare Butch Wilmore e Suni Williams, i due astronauti Usa rimasti bloccati in orbita attorno alla Terra nella Stazione spaziale internazionale, la missione è stata affidata a SpaceX, fondata proprio da Elon Musk. Un altro segnale di pace non sconvolto dalla guerra ucraina: a bordo della capsula di soccorso Dragon ci sono l'astronauta della Nasa Nick Hague e il cosmonauta russo Alexander Gorbunov! La montagna cinese osserva e muove passi lenti. Per firmare la pace globale la Cina si accontenterà di evitare i conflitti doganali e di rimettere in moto il proprio sistema economico oggi frenato, o chiederà la definitiva soluzione della questione Taiwan? Per ora i movimenti aeronavali attorno all’ex Formosa mi sono sembrati piuttosto un avvertimento preventivo: non esagerate in Occidente, altrimenti stringo il cappio anche io!