Che non tirasse l’aria dei matrimoni migliori, il Salone delle feste del Popilia Resort lo aveva capito sin dal pomeriggio. Figuriamoci alle nove di sera, orario d’arrivo di stampa e sostenitori. La privatissima mega struttura a 8 chilometri di curve dalla vita, scelta per la battaglia finale del titolare, candidato del centro sinistra, di cerimonie più riuscite ne aveva viste parecchie. E lo si capiva dal linguaggio non verbale dei professionisti schierati a fronteggiare la situazione.

 

Lusso e politica

Nei camerieri in servizio nell’anticamera della sala stampa, la gentilezza compita ma guardinga di chi non sa bene cosa dovrà aspettarsi dai commensali. Nei direttori, assistenti di sala e segretarie, impeccabili e gentilissimi, l’agitazione sottile del maître di lungo corso che non ha ancora contezza, alle otto di sera, di quanti convitati arriveranno. Le sedie ed i tavoli disposti “as usual” - apprecchiatura a parte -, nello spazio pensato per 200 persone, ma occupato solo da una ventina di sostenitori, assorbiti da cassandre televisive che non preannunciavano niente di nuovo. E i tavoli infiniti del servizio in piedi, i camerieri in uniforme, solleciti ad offrir caffè, bibite e dolci dopo il salato, ad una platea risicata, ad una sala vuota.

 

 

Aspettando Godot

Intonse, a decine, all’ingresso della sala stampa, le sciarpe rosse della rivoluzione profetizzata da Callipo, rimaste lì. Ad aspettare tempi migliori. E a proposito di sala stampa, la sensazione del “che ci faccio qui”, dell’Aspettando Godot, non si attenuava neanche per gli accreditati che bypassavano lo sbarramento “Solo autorizzati”. Giornalisti e telecamere ad attendere il segnale di vita che sarebbe arrivato alle una del mattino, composti e freddi attorno alla sala vuota, col solo conforto delle file di sedie dal rivestimento in pallido avorio e fiocco importante, simboliche e dominanti dell’imprenditorialità del tutto, protagoniste assolute nell’assenza totale di candidato, squadra, partito.

 

Un profilo basso

Il Pd, del resto, aveva adottato a questo giro un profilo che definire basso è eufemistico: ma che col senno di poi, considerando la tenuta del partito - non è stata neanche la peggiore delle strategie. Lo si era capito guardando il segretario nazionale prestarsi a foto d’ordinanza a Maierato, grembiule aziendale e berretto Tonno Callipo in testa, accantonando ogni simbolo del partito sin dalla prima trasferta calabra. E anche se Zingaretti alla fine aveva capitolato, lo aveva fatto in zona Cesarini, dopo aver cercato palesemente un’alternativa più appetibile, accettando “quella” che voleva salire all’altare della presidenza della Regione a prescindere, per la seconda volta, e che a sua volta aveva tentato ed abortito diverse proposte.

 

Panni sporchi lavati in piazza

Il matrimonio d’interesse, insomma, che si consumava in un contesto familiare già devastato da panni sporchi lavati in piazza per mesi. Il niet all’Oliverio bis falcidiato dalle inchieste di Gratteri, il braccio di ferro devastante che ne era seguito, il travaglio per la resa sul nome di Callipo, trasformavano il lusso del Popilia in una allegria di naufragi, appesantita dall’assenza malinconica di qualsiasi riferimento iconografico, e di qualsiasi presenza “umana” fino alle una passate.

 

«I calabresi non hanno creduto»

Alle una e dieci, l’ingresso dell'imprenditore. Effetto “Un uomo solo al comando”, nella buona come nella cattiva sorte. Parla da solo, parla poco. Nessuno accanto a lui, pochi “senatori” dietro. Discorso secco, amaro. (“Tutti pensarono dietro ai cappelli “lo sposo è impazzito, oppure ha bevuto”, ma la sposa aspetta un figlio, e lui lo sa”, avrebbe decretato il De Gregori d’ordinanza). «I calabresi non hanno capito – dice -. Non hanno voluto il cambiamento, non hanno creduto». Il richiamo “agli amici del PD” non potrebbe essere più secco. Il distacco è abissale, le percentuali impietose. Lui annuncia opposizione, e siamo certi che la farà, non foss’altro per stemperare la delusione.

 

"A far l'amore comincia tu"

Certo è che alle due di notte, nella stanchezza generale, dal silenzio di un Popilia che silenziosamente si svuota, appaiono siderali le immagini della tarantella di Tajani rilanciata sulle reti nazionali, della Pascale e della Santelli che ballano “A far l’amore comincia tu” sulle note della Carrà, in una Lamezia dominante che vorrebbe assomigliare alla Grande Bellezza ma davvero non gliela fa, che la Capitale è lontana, e dalla periferia dell’Impero l’effetto è inquietante. In molti stentano a comprendere cosa ci sia da ridere, a parte l’umana e legittima soddisfazione personale, data la gravità del compito che aspetta la Presidente, roba che farebbe tremare le vene dei polsi, ma oggi ridiamo e balliamo, del resto lo aveva fatto anche Oliverio. E proprio per questo, che quasi quasi, dalle macerie di una terra così malata e dolente, nel momento del cambio della guardia, si preferisce lo spettacolo della disfatta. Malinconica, sì. Ma silenziosa.