Altro che trattori. Alla fine a travolgere (metaforicamente) Palazzo Chigi è stato un caterpillar di nome Vincenzo e di cognome De Luca, presidente della Regione Campania. In uno scontro istituzionale inedito per virulenza, il vulcanico governatore ha marciato su Roma alla testa di oltre 500 sindaci meridionali con tanto di fascia tricolore a fare da contraltare alle bandiere che garrivano in una splendida giornata di sole sui palazzi del potere. Italia contro Italia, in un conflitto che non è una guerra civile ma poco ci manca.

Il ministro Fitto nel mirino

Stanco di essere portato per i vicoli dal Governo, De Luca ha prima (tre settimane fa) denunciato alla giustizia contabile, amministrativa e penale il ministro per il Sud, Raffaele Fitto, e oggi è andato a cercarlo fisicamente, pur sapendo che non l’avrebbe trovato, perché era in Calabria insieme alla premier Giorgia Meloni. «Il ministro più inconcludente ed evanescente della storia repubblicana, primo nemico del Sud pur essendo meridionale lui stesso», aveva detto a suo tempo, annunciando nel suo consueto video quotidiano la presentazione dell’esposto-denuncia al Tar, alla Corte dei Conti e alla Procura per il blocco dei fondi di sviluppo e coesione.

Leggi anche

Assalto alla Capitale

In marcia per protestare anche contro l’Autonomia differenziata, il governatore campano si è spostato per il centro di Roma col piglio di chi guida una rivolta. La tensione con le forze dell’ordine ha raggiunto in vari momenti il livello di guardia. «Chiedete che qualcuno venga qui a parlare, altrimenti ci dovete caricare, ci dovete uccidere», ha urlato De Luca a un rappresentante della polizia, che con un cordone di agenti aveva bloccato il passaggio del corteo. «Lei pensa che un presidente di Regione e 200 sindaci debbano aspettare questo imbecille che continua a fare provocazioni?», ha detto De Luca, riferendosi a Fitto.

De Luca con i sindaci. In prima fila l'ex governatore calabrese Oliverio

L'assedio a Palazzo Chigi

Poi, ha cambiato obiettivo e si è diretto praticamente da solo verso Palazzo Chigi, arrivando in Piazza Colonna e aspettando che qualcuno lo ricevesse, mentre dietro il muro di poliziotti su via del Corso sono restati bloccati centinaia di sindaci che hanno cominciato a urlare «fascisti!» e a intonare Bella Ciao.

Meloni nella confort zone calabrese

Mentre tutto questo accadeva nella Capitale, Giorgia Meloni era nella confort zone di Gioia Tauro, dove insieme al presidente Roberto Occhiuto e allo stesso ministro Fitto, tesseva le sorti magnifiche e progressive del suo governo, davanti, anche qui, a una schiera di sindaci fasciati dal tricolore ma animati da tutt’altro sentimento, ringraziata ed esaltata dal governatore calabrese che a sua volta sottolineava la sintonia con Palazzo Chigi e, in particolare, con Fitto.

Leggi anche

Un racconto diametralmente opposto a quello di De Luca, con il quale qualche giorno fa c’era stato anche un abboccamento, con Occhiuto invitato ad affiancarlo nella lotta. Ipotesi non esclusa a priori da Roberto, che si era limitato a dire che i fondi sarebbero stati sbloccati prima e quindi non ci sarebbe stato bisogno di protestare. Probabilmente, dunque, non è un caso che oggi, mentre un De Luca più bellicoso che mai urlava sotto i palazzi romani una sorta di “scendete giù se avete coraggio”, Meloni fosse proprio in Calabria a disinnescare lo scontento del golden boy di Forza Italia, tenendolo lontano dalle tentazioni insurrezionali.

Botte da orbi... a distanza

Ma lo scontro tra la premier e De Luca si è consumato ugualmente, anche se erano a 700 chilometri di distanza. A recapitare i colpi sono state le agenzie di stampa, sulle quali sono rimbalzate le bordate che i due si sono assestati.

«Devo ringraziare i presidenti di Regione - ha cominciato Meloni, dal palco di Gioia Tauro, con un diretto all’orgoglio dell’avversario - tutti hanno capito il senso di quello che stiamo facendo, tutti sono collaborativi salvo uno. Neanche mi stupisce troppo, se si va a guardare il ciclo di programmazione 2014-2020 risulta speso il 24% dei fondi. Se invece di fare le manifestazioni ci si mettese a lavorare forse si potrebbe ottenere qualche risultato in più».

La reazione di De Luca è stata feroce: «Meloni? Senza soldi non si lavora. Stronza, lavori lei». E poi, in un'altra circostanza: «L'autonomia differenziata non penalizza il Sud, lo calpesta e lo offende. Meloni deve chiedere scusa perché questi fondi erano destinati in primo luogo al Sud, e gli accordi di coesione andavano fatti innanzitutto con le regioni del Sud invece che con tutte le regioni del Nord. Se pensa che la dignità del Sud sia in vendita si sbaglia. La manifestazione di oggi serve a ricordare a Giorgia Meloni e a tutti che la dignità del Sud non è in vendita, quindi chieda scusa perché sta bloccando risorse essenziali per creare lavoro».

Leggi anche

Braccato dai giornalisti, contenuto dalle forze dell’ordine, il governatore campano era comunque un fiume in piena impossibile da arginare: «Hanno deciso di fare una Zes unica per tutto il Mezzogiorno, e poi hanno portato tutte le decisioni a Roma. Chi fa questo io lo chiamo imbecille, o no? Qual è la malizia di questi giovanotti? Che l'imprenditore vada a Roma a genuflettersi. Questo è il peggio del clientelismo. Si vergogni Meloni, non io. L’autonomia differenziata è una legge truffa. Se si consente alle regioni del Nord di fare contratti integrativi nella sanità con 3000 euro in più al mese per i medici noi siamo morti. Noi siamo pronti a competere ma ad armi pari». Gong! Fine della prima ripresa, vinta ai punti dal mastino napoletano.