Un’altra tegola potrebbe abbattersi sulla testa del sindaco della città dei bruzi, quella della Corte dei Conti. Il Tribunale contabile, infatti, aveva bocciato la gestione del piano di riequilibrio. Così il primo cittadino aveva impugnato il dispositivo di fronte alle sezioni riunite. Giovedì prossimo è atteso il pronunciamento
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Fra pochi giorni un’altra tegola potrebbe abbattersi sulla testa del sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, quello della Corte dei Conti. Il Tribunale contabile, infatti, aveva bocciato il comune di Cosenza e aveva stabilito che le discrasie tra quanto contenuto nel piano di riequilibrio finanziario e quanto invece realmente attuato dall'amministrazione di Palazzo dei bruzi erano tali da attivare le procedure di dissesto finanziario. Il tutto motivato da un corposo fascicolo di 142 pagine notificato il 18 luglio al sindaco della città e agli uffici amministrativi.
La decisione della magistratura contabile non ha avuto effetti immediati perché Mario Occhiuto, aveva prodotto un ricorso alle Sezioni riunite come del resto fece anche nel 2014. Il 17 ottobre è atteso il pronunciamento. Se le sezioni riunite dovessero respingere il ricorso prodotto dal sindaco, dunque, sarebbe un ulteriore colpo alla credibilità politica del primo cittadino bruzio che aspira a diventare presidente della Regione e che la Lega ha severamente bocciato quale leader del centrodestra unito. Severo il dispositivo della Corte dei Conti sulla gestione Occhiuto, la quale ha segnalato il mancato rispetto degli obiettivi intermedi del Piano di Riequilibrio Finanziario adottato a Palazzo dei Bruzi. Secondo il Tribunale Contabile, infatti, il Comune di Cosenza ha fallito ogni tentativo di riequilibrio finanziario e durante la gestione Occhiuto il debito è lievitato per decine e decine di milioni. Una voragine finanziaria. Se le sezioni riunite dovessero confermare il dispositivo della Corte dei Conti, sarà difficile per Mario Occhiuto, continuare a sostenere che il modello Cosenza possa essere esportato alla Regione Calabria. Il 17 ottobre, dunque, l’ardua sentenza.
Pa.Mo.
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