Novanta milioni di euro per il centro storico di Cosenza, ma nemmeno un centesimo per risolvere il principale problema di chi ci vive: l'instabilità dei tanti edifici privati che rischiano di crollare. È stato questo l'argomento a tenere banco nella conferenza organizzata nella sede del comitato Piazza piccola, con protagonisti Stefano Catanzariti, i docenti universitari Battista Sangineto e Marta Maddalon, la storica Alessandra Carelli e la giornalista Francesca Canino. Il loro giudizio sulle scelte operate dalle istituzioni nell'indirizzare i fondi ricorda un po' quello di un celebre aforisma di Karl Kraus sulle politiche sociali: sono la disperata decisione di operare i calli di un malato di cancro.

Le beghe politiche

La contrarietà a quanto stabilito nel Contratto istituzionale di sviluppo (Cis) siglato tra le istituzioni locali e il Mibact era tangibile nella sala. E le ragioni del dissenso sono state snocciolate intervento dopo intervento. Catanzariti, in particolare, ha ricostruito il percorso che ha portato alla sigla dell'accordo, dalla visita del ministro Franceschini – con la sua decisione di dirottare su Cosenza i soldi originariamente destinati a Matera – ai giorni nostri: elogi (seppur limitati alla disponibilità al confronto tra le parti) al sottosegretario Orrico e bacchettate a Nicola Morra, il senatore che – non si sa bene a quale titolo, ha sottolineato l'attivista – l'aveva preceduta nella fase di ascolto delle istanze e presentazione dei progetti nei mesi di governo giallo-verde.

A prevalere nell'iter che ha portato alla firma, più che il desiderio di salvare la parte antica (e pericolante) della città, sarebbero state le beghe politiche, con i residenti del quartiere a farne le spese: niente soldi per la messa in sicurezza degli edifici privati e fiumi di denaro per altri, pubblici, che già in passato erano risultati beneficiari di fondi.

Doppi finanziamenti per gli stessi edifici?

Si stanno finanziando gli stessi interventi due volte? Se a far fede dovessero essere le passate dichiarazioni del sindaco Occhiuto, che ha più volte sostenuto di aver già restaurato tutti gli immobili pubblici del centro storico, la risposta, per quanto assurda, non potrebbe che essere affermativa. L'attendibilità di quelle affermazioni cozza, però, con quanto stabilito dal Cis. A rafforzare i sospetti sui “doppi finanziamenti”, comunque, c'è la lunga lista di determine e delibere sciorinata dallo stesso Catanzariti, un elenco in cui i progetti beneficiari dei quattrini ricompaiono più volte all'interno di programmi come Agenda Urbana o nei piani delle opere pubbliche approvati negli ultimi 15 anni.

Finanziare ulteriormente quegli interventi – sempre che si tratti davvero di un bis, per capirlo toccherà aspettare progetti più dettagliati di quelli resi pubblici finora - basterà a convincere i privati a investire nel quartiere per riportarlo a nuova vita? Tra i presenti in sala non ci credeva né crede nessuno: chi – le domande che riecheggiavano nella sede del comitato - investirebbe per andare a vivere in un posto dove non esistono vie di fuga in caso di terremoti o idranti per spegnere incendi come quello che solo pochi anni fa ha ucciso una famiglia, chi comprerebbe una casa in un palazzo se quello accanto potrebbe crollare da un momento all'altro?

L'altra strada da percorrere

La politica, questa la tesi degli intervenuti, avrebbe potuto fare molto di più se solo avesse voluto. Il diktat sul riservare i fondi solo a edifici pubblici? Superabile, a loro avviso, com'è stato fatto quando gli ex fondi Gescal, destinati all'edilizia popolare, sono stati utilizzati per realizzare il ponte di Calatrava. L'archeologo Sangineto ha citato anche i casi di Bologna e Taranto, che – la prima nel 1971 e l'altra nel 2011 – hanno trovato l'escamotage giuridico per finanziare interventi nei loro centri storici anche su immobili che, stando a quanto sostiene oggi il Mibact, di soldi non ne avrebbero potuto ricevere.

L'attuale quadro normativo avrebbe permesso di fare altrettanto qui? Forse sì, ma a Cosenza, in sostanza, l'unico “trucchetto” riuscito in favore dei residenti è stato quello di destinare parte dei fondi al recupero delle icone votive disseminate nei vicoli del centro storico in modo che a beneficiare del restauro fossero anche gli stessi vicoli che le ospitano: una goccia nell'oceano di degrado e insicurezza che caratterizza il quartiere.

Sarebbe servito, in definitiva, un altro metodo rispetto a quello adottato dalle istituzioni, ha sottolineato a sua volta Maddalon. Magari uno, la tesi di Carelli, che tenesse conto degli esseri umani quando si è stabilito di investire 90 milioni a beneficio della cultura, perché nessuno meglio dell'uomo la rappresenta. Forse però, dietro le decisioni prese ai tavoli istituzionali, c'erano troppi interessi politico-economici, ha ipotizzato Canino.