Un “partiticidio”. È quello che si è consumato nel giro di 24 ore con il botta e risposta distruttivo tra l’ex premier e il fondatore del Movimento che sono passati come un rullo compressore sulle aspettative di milioni di elettori
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Allora, come volevasi dimostrare, Beppe Grillo ha piantato un paletto di frassino nel cuore del Conte, che si era sollevato dal sepolcro politico nel quale era stato messo a dormire: «Non ha visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione». Così l’Elevato ha dato il benservito all’ex premier: in altre parole Conte, secondo Grillo, non vale una cicca.
Chi avesse avuto ancora dubbi sul fatto che il Movimento 5 stelle stesse scrivendo il suo epitaffio, è servito, anche se forse non avrà mai l’onestà intellettuale di riconoscerlo. E si può essere faziosi quanto si vuole, chiudere gli occhi davanti ai fatti e accusare giornalisti e commentatori politici di essere al soldo di chissà chi. Ma la realtà non cambia: il Movimento 5 stelle che conoscevamo non c’è più.
Magari ci sarà altro, magari ce ne saranno due o tre che si chiameranno in modo diverso (il simbolo è di Grillo e non lo molla), ma quello che c’era prima oggi non c’è più. La conferenza stampa dell’Avvocato degli italiani e la risposta (esattamente 24 ore dopo, spaccando il minuto) dell’Elevato, hanno chiuso un’epoca.
Nel modo peggiore. Gridando ai quattro venti social che ciò che fino a 4 mesi fa Grillo e Di Maio hanno spacciato per il meglio che l’Italia potesse sperare, “Giuseppi” appunto, è invece una schiappa.
Conte, nelle nuove parole del comico genovese, è scarso, scarsissimo. Senza visione politica, senza capacità manageriali, senza soluzioni innovative. Eppure gli aveva affidato l’Italia e tutti noi, con grande tripudio di pacche sulle spalle, baci, abbracci e complimenti per la povertà sconfitta. Come rivelare, solo dopo che è atterrato, che il pilota che hai scelto non aveva il patentino per condurre l’aereo in sicurezza.
Ma non meno colpevole è Conte stesso, che dal canto suo non ha usato parole più tenere quando, 24 ore prima, si è detto non disposto «a fare da prestanome a un leader ombra» (Grillo, of course), non disposto a guidare per conto di altri «un movimento pieno di ambiguità». Come se le stesse ambiguità non fossero mai esistite prima che si decidesse a rivelarle. Ma esistevano eccome. Nascoste sotto al tappeto di una presunta superiorità morale che tutto giustifica e tutto ammette (“Volete gli altri? I ladri che vi hanno governato per 50 anni”) ma non è mai riuscita a farsi davvero governo del cambiamento, perché la premessa (“Noi siamo meglio, sempre e comunque”) suonava fasulla come una moneta da 3 euro.
In questo falò delle vanità appiccato senza lesinare sulla benzina dai due più rappresentativi (fino a ieri) punti di riferimento del M5s, a bruciare non sono soltanto le certezze politiche di un “partito” mai veramente nato, ma soprattutto le illusioni di milioni di elettori che ci avevano creduto davvero e che ora si ritrovano giocoforza a stare con l’uno o con l’altro. O con nessuno dei due. Ci sarà il “Movimento” di Conte e quello di Grillo, quello di Di Battista e di Toninelli, e via così. Briciole rancide di un sogno tradito a colpi di slogan che hanno subito mostrato la corda, dall’uno vale uno alla democrazia diretta per pochi militanti doc certificati, dalla regola (si fa per dire) dei due mandati agli stipendi restituiti solo fino a quando hanno sentito il fiato sul collo.
Nessuno dovrebbe gioire per come è andata a finire. Ma nessuno dovrebbe negare la realtà di oggi, se davvero ci ha creduto ieri.