È Domenico Tallini il presidente del Consiglio regionale che guiderà l’Assemblea in questa undicesima legislatura che prende l’avvio in piena emergenza sanitaria. La prima seduta si è svolta in un clima surreale dentro un palazzo Campanella blindato e con i consiglieri in mascherina e guanti per garantire il massimo della sicurezza.

 

Tallini ha una lunga esperienza istituzionale essendo arrivato alla sua quarta legislatura. In quella precedente è stato Segretario questore del Consiglio regionale e vicepresidente della IV Commissione “Ambiente”. Nella IX legislatura invece ha ricoperto l’incarico di Assessore al personale. Nato a Catanzaro il 29 gennaio 1952, è sposato e ha due figli. Perito elettrotecnico ed elettronico, è dipendente Enel. Il suo impegno politico è cominciato nelle file della Giovane Italia. E’ stato per circa 25 anni in Consiglio comunale di Catanzaro. E’ entrato per la prima volta nel 1981 nelle liste del Msi e nel 1993 ha ricoperto l’incarico di assessore comunale allo Sport e agli Affari generali. Nel 1999 è stato anche assessore provinciale (Pubblica istruzione).

 

Diventa presidente in uno dei momenti più difficile della storia del Paese e della Calabria. Sente addosso questa responsabilità?

«Certamente. Le dico che avrei sentito la responsabilità anche senza questa emergenza, ma ovviamente in questo momento è un compito ancora più importante. Come ho già detto in Aula si stratta di una elezione inaspettata, non mi sono sentito di dire di no e ho accolto l’invito della presidente Jole Santelli e della mia maggioranza che, attraverso un’ampia discussione e un ragionamento politico, hanno stabilito di individuare me. Hanno pensato che potessi essere io la persona giusta per svolgere questo compito per dare una valida sponda alla governatrice e alla giunta che hanno bisogno di una conduzione del Consiglio che vada in piena sintonia e in completa fiducia».

 

L’inizio di questa legislatura si è fatto attendere molto, due mesi pieni praticamente. Qualche bega politica di troppo? 

«Le condizioni politiche non hanno avuto tutto questo peso. Anzi ricordo inizi di legislatura lenti ed influenzati molto di più dalle dinamiche politiche. In questo caso ci siamo trovati nel bel mezzo di una emergenza sanitaria senza precedenti. Io sono stato tra quelli che, all’inizio, ha insistito per rinviare il primo Consiglio e poi, quando sono state garantite le condizioni di massima sicurezza, ho chiesto che si facesse al più presto. Fare il consigliere regionale non vuol dire non preoccuparsi della propria salute e di quella degli altri. Non condivido l’idea che poiché percepiamo uno stipendio, anche dignitoso, dobbiamo rischiare di più, nè hanno senso i paragoni con altri dipendenti che stanno facendo un lavoro straordinario come medici e infermieri. Quando è stato chiesto il primo rinvio non erano stati neanche sanificati i locali di palazzo Campanella. Nel momento in cui ci sono state le condizioni ci siamo riuniti e abbiamo anche svolto un importante dibattito sull’emergenza sanitaria dopo l’informativa del presidente, scrivendo una buona pagina istituzionale».

 

È stato eletto alla terza votazione. Ha preso 20 voti, ma se si contano anche i 4 raccolti da Baldo Esposito è evidente che qualcuno è arrivato anche dal centrosinistra. Come giudica l’esito finale? Esiste qualche crepa nella maggioranza?

«Se esiste una crepa all’interno di una maggioranza che esprime il suo presidente con 20 voti in un momento strategico e delicato, allora vuol dire che è una crepa che non crea nessun problema alla maggioranza. Senza i 4 voti andati a Baldo Esposito, il centrodestra avrebbe dovuto esprimere 16 consensi sul presidente, invece, siamo arrivati a 20 voti. Ciò vuol dire che molti consiglieri regionali, anche nell’altro schieramento, hanno apprezzato la mia attività nella scorsa legislatura; consiglieri e colleghi che hanno lavorato insieme a me e conoscono il mio attaccamento alle Istituzioni. Voti che hanno premiato una scelta politica».

 

Proprio mentre erano in corso le operazioni di voto a palazzo Campanella, il presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra diceva “No a Tallini”…

«Dopo l’agguato fatto a 48 ore dalle elezioni regionale, in violazione al principio di libertà e alle norme sul silenzio elettorale, il signor Morra ne ha provato un altro. È incredibile come un soggetto che dice che vuole combattere la criminalità ogni giorno metta sotto i piedi le regole e il rispetto. Lui e il suo partito invece di occuparsi dell’emergenza Coronavirus si fanno strumento di un trasversalismo in atto per colpire un avversario politico e mettere in discussione la mia candidatura. Un tentativo che, mi pare evidente, è andato completamente fallito. Così come ha avuto poco significato politico l’operazione messa in campo da chi alla prova del voto ha raccolto soltanto 4 preferenze».

 

Nel suo discorso di insediamento ha parlato del federalismo come una sfida che intendeva?

«Credo che il regionalismo differenziato sarà uno dei principali temi sul tappeto, una volta che saremo usciti dall’emergenza sanitaria. Anzi credo che se non ci fosse stato il diffondersi del Coronavirus, le Regioni del Nord sarebbero tornate alla carica facendo leva sul nuovo governo giallorosso. Alcuni interessi non sono soltanto della Lega, ma anche di alcune Regioni governate dal centrosinistra come l’Emilia Romagna. Negli ultimi dieci anni, dopo la riforma Calderoli, abbiamo assistito a un flusso di denaro che dal Sud è andato al Nord, con le Regioni più povere diventate sempre più povere e quelle più ricche sempre più ricche. Dobbiamo accettare la sfida del regionalismo differenziato e fare in modo che venga utilizzato per colmare i divari tra Nord e Sud specialmente per i servizi essenziali, a partire dalla sanità. Non so se questo è un motivo per il quale la mia presidenza non è stata gradita, non dai consiglieri regionali della Lega, ma da qualche dirigente non meridionale che ha visto magari un ostacolo a qualche suo disegno colonialista. Cercherò di difendere la mia terra e l’intero Mezzogiorno. Il Paese deve rimanere unito specialmente quando avremo debellato il virus».

 

Un tema sempre caldo è quello dei costi della politica. Ha fatto scalpore la notizia che alcuni collaboratori fossero a libro paga nonostante il Consiglio non avesse ancora cominciato la sua attività…

«Vedremo cosa si potrà fare, anche se molte riduzioni le abbiamo già operate sia sui collaboratori che sugli stipendi e sui vitalizi. Per i consiglieri della passata legislatura e per quelli attuali, e per chi completa una legislatura, ci sarà una indennità dopo i 60 anni pari a 600 euro mensili. È bene ricordarlo. In generale però non condivido il modo di approcciare al problema. Bisogna valutare politici e collaboratori sulla base dei risultati che raggiungono. I nostri stipendi sono commisurati a quelli dei parlamentari, quindi anche di quelli grillini che tanto parlano, ma poco agiscono. Dare uno stipendio, anche dignitoso, a chi magari mette da parte il proprio lavoro e si impegna per la collettività mi pare che sia corretto. Altrimenti dovremmo lasciare spazio a una democrazia plutocratica in cui fa politica solo chi può permetterselo».

 

Si sta riferendo a chi ha proposto di non incassare lo stipendio per i primi due mesi di attività?

«Si tratta di possibilità che si possono permettere i Callipo di turno che magari possono lasciare la propria indennità per tutto l’anno. In famiglie monoreddito, ad esempio, la questione magari è diversa. Io non ho mai approfittato di un solo centesimo nella mia carriera e così tanti miei colleghi. È vero che nella Prima Repubblica è successo di tutto, ma adesso non possiamo continuare a pagare i danni del passato. Poi se dovessimo individuare sprechi senza dubbio interverremo, ma stiamo lontani della strumentalizzazioni volte magari ad attaccare i propri avversari politici sui social. Altrimenti il risultato finale sarà quello di alimentare l’antipolitica e i commissariamenti».

 

I commissariamenti non la convincono?

«Parlano i risultati. Negli ultimi anni non abbiamo fatto che commissariare con risultati peggiori di prima in ogni settore, a partire dalla sanità».

 

I rapporti tra Giunta e Consiglio saranno migliori rispetto alla passata legislatura?

«In realtà è stata la riforma a mettere il Consiglio in una posizione subordinata rispetto alla giunta. Poi quando si aggiungono le figure tecniche nell’esecutivo il rischio che l’Assemblea diventi organi di mera ratifica è alto. Ritengo però possibile una via di mezzo che dia maggiore spazio alle funzioni legislative del Consiglio per dare risposte più efficaci alle esigenze dei calabresi. E’ necessario però che il Consiglio abbia una sua strategia e sappia legiferare con le poche risorse a disposizione, senza disperderle con finanziamenti a pioggia. Credo che il lavoro fatto sulle Valli Cupe nella passata legislatura possa essere un esempio concreto di quello che vorrei si realizzasse».