Dopo dieci mesi la commissione di Franco Sergio approva solo una «risoluzione di indirizzo» che sa tanto di propaganda. La legislatura è entrata nella fase di prorogatio e la norma potrebbe non vedere mai la luce
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La storia relativa al ruolo delle donne nella politica calabrese si chiude con una supercazzola tristemente straordinaria. La prima proposta di legge sulla doppia preferenza di genere, firmata da Flora Sculco, risale a quattro anni fa, ma dopo infinite discussioni e di malcelati traccheggiamenti, ieri è stato scritto il capitolo finale, con tanto di beffa.
Il consiglio regionale ha infiocchettato una supercazzola istituzionale e comunicato che la prima commissione «ha approvato all'unanimità una risoluzione di indirizzo (sic) alla Conferenza dei capigruppo per un eventuale (doppio sic) inserimento nella prossima seduta di consiglio regionale», in programma per domani, della proposta di legge 408, che ha abbinato i testi dei consigli comunali di Catanzaro, Bovalino, Verzino e Ricadi.
Fuffa
Capziosità semantica a parte, la “Affari istituzionali non ha fatto altro che fuffa, una paraculata. Il perché è presto detto: la commissione guidata da Franco Sergio si è astenuta dall'approvare il testo in esame e ha spedito la patata bollente all'Ufficio di presidenza del Consiglio, che però non potrebbe inserire il punto all'ordine del giorno dell'assemblea perché la legislatura è entrata nella fase di prorogatio in cui non sarebbe possibile modificare la legge elettorale.
La “Affari istituzionali”, sostanzialmente, non ha fatto altro che propaganda spicciola di fine legislatura, per di più lucrando sulle legittime richieste – motivate da leggi dello Stato, come la 20 del 2016 – di donne, associazioni femminili, attiviste, consigli comunali e commissioni di parità.
Che ha fatto la commissione
Lo stesso Sergio ha commentato l'esito della seduta di ieri con parole che suonano bene, ma non significano nulla: «Abbiamo dato un segnale concreto di condivisione sulla parità di genere da valorizzare...».
Subito dopo, però, il “moderato per la Calabria” (dal nome del suo gruppo), ha provato a mettere le mani avanti, con scarso successo: «Era il massimo che questa commissione potesse fare visto che la seduta era interamente dedicata alle audizioni».
Parrebbe un complotto, se non fosse che gli ordini del giorno delle sedute li stabilisce proprio il presidente della commissione. Facile obiezione: magari il testo di legge sarà finito all'attenzione della commissione in ritardo, sicché Sergio e gli altri componenti potrebbero non avere avuto il tempo di completare l'istruttoria prevista per le norme regionali. Obiezione inconsistente, in realtà, visto che le due proposte poi abbinate sono state depositate in Consiglio lo scorso 1 febbraio e assegnate alla prima commissione, per l'esame di merito, tre giorni dopo.
Dieci mesi di nulla
In dieci mesi, tuttavia, l'organismo presieduto da Sergio è riuscito a dedicare solo due sedute alla legge, una il 23 luglio, l'altra ieri – a pochi giorni dal decreto che ha indetto le nuove elezioni –, tutte incentrate sulla discussione generale e sulle audizioni. Il testo finale non è mai stato approvato. E dunque, pur volendo, come farebbe il Consiglio a varare una norma che non presenta valutazione di merito e non ha il parere – richiesto – della commissione Bilancio?
Non che tutte le colpe debbano essere addebitate a Sergio e all'organismo che presiede, tutt'altro. Sulla legge per la doppia preferenza il parlamentino regionale, nella sua interezza, ha dato prova di grave immaturità istituzionale e messo in luce il tentativi – del tutto riusciti – di affossare le varie norme sul tema, che avrebbero adeguato la legge regionale alle direttive nazionali.
Non è certo un caso che, oggi, l'assemblea sia composta quasi esclusivamente da uomini, preoccupati di non ridurre ulteriormente le possibilità di una loro rielezione favorendo l'accesso al sesso che, in Calabria, è davvero sempre più debole.
Sculco e il boicottaggio
La prima “vittima” è stata proprio Sculco, unica donna eletta in questa legislatura. La consigliera di Crotone, pur facendo parte della maggioranza, non ha mai avuto i numeri per far approvare la sua norma e ha dovuto subire vari tentativi – anche questi riusciti – di boicottaggio, perpetrati in modo bipartisan.
Il caso più clamoroso si verifica quando il presidente Nicola Irto inserisce la legge tra i punti all'ordine del giorno nella seduta dello scorso 11 marzo. Partono le grandi manovre e due giorni prima, quasi fuori tempo massimo, in Consiglio vengono depositate altre due leggi, firmate rispettivamente da Vincenzo Pasqua, Tonino Scalzo ed Ennio Morrone e da Orlandino Greco e Giovanni Arruzzolo.
Entrambe vogliono modificare la legge elettorale e prevedono disposizioni diverse sulla parità di genere. L'obiettivo è chiaro: obbligare Sculco al passo indietro, rinviare le norme nelle commissioni, guadagnare tempo e disinnescare la bomba rosa. Missione compiuta. Da quel momento in poi sulle norme di parità è praticamente calato il silenzio. Fino alla sortita di Sergio.
Prorogatio
A partire dal 23 novembre, con l'avvio della fase di prorogatio, il Consiglio dovrebbe limitarsi agli atti «necessari e urgenti», «dovuti» e «costituzionalmente indifferibili». La legge sulla parità di genere rientra in queste fattispecie? Nessuno sa dirlo con precisione. Per la consigliera di Parità, Tonia Stumpo, «la legge di genere avrebbe una copertura costituzionale essendo imposta dalla legge 20». I giuristi di Palazzo Campanella sarebbero invece convinti del contrario.
Cambia poco, in fondo: la politica calabrese ha già fatto capire che andrà a finire in quel modo lì; e senza neanche un po' di scappellamento a destra.
bellantoni@lactv.it