Il sindaco risponde in Consiglio comunale a chi gli chiede di dimettersi: «Noi in prima fila contro le cosche, chi vuole chiudere la storia di questa amministrazione agisce contro la città»
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«Io la 'ndrangheta la conosco da quando ero bambino. E la puzza di fumo di quando mi hanno bruciato casa ce l'ho ancora nel naso. So che cosa significa guardare in faccia la criminalità organizzata, so cosa significa vivere sotto scorta». Nel primo consiglio comunale dopo l’inchiesta Ducale, il sindaco Giuseppe Falcomatà difende il proprio operato e la propria storia davanti a chi chiede le sue dimissioni e agita lo spettro della Commissione d’accesso antimafia.
Falcomatà ricorda che «non più di un paio di settimane fa, quando abbiamo demolito l'ennesima baracca abusiva, io ero lì con la polizia locale a beccarmi le minacce del signorotto locale. A proposito di praticare le cose e non agitarle soltanto. Questi siamo noi, oltre quello che è stato già detto, oltre i protocolli, i beni confiscati, le costituzioni di parte civile, il riordino ai servizi sociali, gli appalti, le procedure. Questa è la storia della città e nessuno si può permettere di provare a cambiarla».
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L’inchiesta della Dda di Reggio Calabria ipotizza commistioni tra ’ndrangheta e politica, con il ruolo chiave di Daniel Barillà, esponente del Pd e genero del boss Araniti, considerato l’uomo-cerniera tra il clan e i palazzi cittadini. Anche Falcomatà è indagato, per quanto a suo carico i pm non abbiamo chiesto alcuna misura cautelare. Il quadro degli approfondimenti investigativi coinvolge anche il consigliere regionale di Fratelli d’Italia Peppe Neri, l’ex capogruppo dem in consiglio regionale Giuseppe Sera (si è dimesso nei giorni scorsi) e Mario Cardia, eletto nel centrosinistra e poi passato alla Lega (Cardia ha tuttavia specificato di non aver ricevuto alcun atto relativamente all’indagine in corso). Il quadro è bipartisan ma il centrodestra, con in testa il capo dell’opposizione Antonino Minicuci, ha chiesto a Falcomatà di fare un passo indietro. Oggi a Palazzo San Giorgio è arrivata la risposta del sindaco: «Chi chiede le mie dimissioni, fa politica strumentale sulle spalle della città. Non lo permetteremo», ha detto.
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«Le dimissioni - ha aggiunto Falcomatà - sono un fatto politico. Non si minacciano, né si annunciano: si danno o non si danno. Non c'è una proposta politica alternativa a questa Amministrazione. Abbiamo assunto un atteggiamento rispettoso rispetto alle richieste di dimissioni. Atteggiamento messo in atto non a chiacchiere, ma coi fatti. Non teso a prendere dalla giacchetta chi ha il compito di approfondire i fatti, ma dimostrando piena fiducia non solo a parole. Ci ritroviamo invece comportamenti che sono difformi e incoerenti con le dichiarazioni di pieno sostegno all'operato delle istituzioni». Il riferimento è alle dichiarazioni di Minicuci che ha, in qualche modo, anticipato l’arrivo della Commissione d’accesso, circostanza smentita dalla Prefettura.
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Con riferimento al processo Miramare, il sindaco ha affermato che «questo è stato il modo in cui abbiamo vissuto la vicenda processuale che abbiamo affrontato in questi anni, nella piena consapevolezza che un imputato debba difendersi nel processo e non dal processo, per non prestare il fianco a quello che in città si era trasformato in una mera suggestione che non aveva nulla a che vedere con le contestazioni processuali, poi definitivamente confutate nell'ultimo grado di giudizio. E se non lo abbiamo fatto in quella fase, che era di gran lunga più avanzata, come potremmo farlo oggi in una situazione ancora più embrionale? Questo è il modo in cui continueremo ad affrontare questa fase e chi non è d'accordo è il caso che se ne faccia una ragione. Se qualcuno nel contesto del civico consesso non ritiene questa istituzione legittimata a rappresentare le istanze dei cittadini ed a programmare il futuro di un territorio, prenda le distanze e dia le dimissioni. È già avvenuto con il consigliere Malaspina. O forse temiamo che, in seguito ad eventuali surroghe, gli altri dopo di noi non potrebbero ugualmente dimettersi? Se hai paura di perdere il tuo posto significa che quel consesso lo ritieni ancora legittimato. Quindi non ha alcun senso continuare ad agitare spettri. Peraltro, la richiesta di dimissioni arriva da soggetti che hanno già annunciato di volersi candidare, da chi si è candidato e ha perso e da chi è stato condannato con sentenze passate in giudicato. E quando si parla di ipocrisia dovremmo guardare prima a noi stessi, perché non si possono chiedere le dimissioni rispetto a una situazione embrionale quando nessuno le ha chieste nei confronti di chi è arrivato a sentenza definitiva. Se si è garantisti, lo si è sempre e con tutti».