Un anno da ricordare. Questo per Nicola Irto è il lasso di tempo intercorso da gennaio 2022 a gennaio 2023. Il Partito democratico si è liberato del Commissariamento che per anni ha contribuito ad avvelenare un clima già di per se complicato, trovando proprio nella sua elezione a segretario regionale un primo momento di unità e condivisione. Certo, le polemiche non mancano mai, ed il tentativo di Irto, che predica «unità nel pluralismo» delle idee, è quello di gestire una fase delicata: quella della ritrovata agibilità. 

Con le politiche di settembre scorso, poi, il segretario regionale ha compiuto il grande salto, venendo eletto a Palazzo Madama. Un ritorno nella capitale dopo l’assaggio del Transatlantico calpestato e ricalpestato, da grande elettore, nelle giornate di passione della rielezione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Infine, l’annuncio di Stefano Bonaccini che ha presentato nei giorni scorsi il Comitato promotore della sua mozione, composto da sei donne e sei uomini, tra cui appunto lo stesso segretario calabrese dei dem.

«Mettiamo in campo – ha detto Bonaccini – una squadra con età media di 40 anni, che è fatta di donne e uomini di grande valore. Qui c’è già quell'idea di rinnovamento che, se diventerò segretario, praticheremo a tutti i livelli». Un rinnovamento che Irto sta cercando di rendere “naturale” a queste latitudini, dove il compito, e lo testimonia il dibattito di tutti i giorni, non è semplicissimo. A maggior ragione alle porte di un Congresso nazionale definito “costituente”, che ha già surriscaldato gli animi.

Segretario Irto, alla fine sono 4 i candidati per le primarie del Partito democratico. Quattro proposte differenti che intendono ridisegnare il futuro. Ma che Partito si vuol costruire? E soprattutto la appassiona il dibattito sul cambio del nome?
«Ritengo che l’obiettivo di tutti i nostri candidati sia quello di costruire un Pd più forte e più attento ai bisogni delle persone. Il congresso ha proprio lo scopo di costruire un partito davvero inclusivo e ancora più presente nei territori. Vogliamo un Pd capace di sostenere e risolvere i problemi dei cittadini in modo concreto, aiutare gli amministratori locali. In una formula: no a un partito chiuso nei palazzi del potere, sì a un partito aperto alla società e attento ai bisogni delle persone. È questa la grande sfida che abbiamo davanti e che, sono sicuro, riusciremo a vincere. Quanto al possibile cambio del nome, lo ritengo un tema poco appassionante. I lavoratori, le imprese e i disoccupati vogliono risposte concrete ai loro problemi, non ne possono più di assistere a discussioni surreali. E comunque, se proprio devo dire la mia, per me il nome Pd va benissimo».

Secondo i primi sondaggi la lotta si riduce a Bonaccini e Schlein. Quali i pregi e i difetti delle proposte di entrambi?
«Bonaccini, Schlein, Cuperlo e De Micheli hanno il merito di essersi messi in campo per dar vita a un vero congresso costituente. Da qui parte la sfida di ripensare un partito che ha il disperato bisogno di rilanciarsi nella società, con proposte nuove e in grado di risolvere le questioni più importanti, dalla sanità al caro energia, dalla crisi del lavoro ai diritti civili, passando per l’emergenza ambientale. Tutte le idee e i progetti nati in questa fase avranno un grande valore politico e andranno approfonditi nei prossimi mesi, con il contributo di tutti. Il congresso non va considerato come una nuova occasione per parlarsi addosso per poi lasciare tutto com’è, ma come la fase ricostituente di un partito che si oppone alla destra di governo e che vuole consegnare un’alternativa credibile agli italiani».

Dopo le polemiche dei giorni scorsi, innescate dall’uscita forse avventata del capogruppo dem in Consiglio regionale, sono volate accuse da più parti rispetto al tentativo di “soffocare il dissenso”. Che aria tira nel Pd regionale?
«Polemiche? Non mi pare. Nel Pd calabrese, in tutte le federazioni provinciali, ci sono organismi legittimati che mai come ora si riuniscono e discutono. Comprendo la difficoltà a capire che la musica è cambiata, che ci sono i luoghi di discussione e l’abbiamo finita con le decisioni unilaterali dei commissari che si sono alternati nel tempo. Credo che disporre di organismi democratici sia un grande valore. Non è un’affermazione diplomatica, è davvero così. Respiriamo aria buona e tutto il nostro gruppo dirigente è compatto e motivato come non mai. Abbiamo riunito regolarmente Direzione e Assemblea regionale e realizzato lo schema per i dipartimenti tematici. Il gruppo regionale, pur nella sua legittima autonomia, si coordina bene e produce atti legislativi e ispettivi di grande valore, in stretta connessione con il partito. Quanto alla Conferenza programmatica, come è normale e naturale che sia, la completeremo dopo il congresso, con il sostegno di tutto il gruppo dirigente regionale e di quello nazionale. Così come, subito dopo il congresso, saranno costituiti tutti gli organismi di partito, provinciali e regionale, con l’ampio contributo di tutti. Posso comunque dire fin da ora che la Conferenza verterà sull’opposizione senza sconti ai governi della destra, a Roma come in Calabria. Anche capendo le innovazioni che dovremo mettere in campo nel nostro ruolo politico di opposizione. Il Pd calabrese si farà sentire, a viso aperto e senza paura».

Lei non ha mai nascosto di essere vicino alle tesi di Bonaccini e lo testimonia il suo ingresso nel comitato promotore nazionale che lo affiancherà e sosterrà nella sua corsa per le primarie. Crede che si possa trovare la strada dell’unità?
«Come ho già detto, i nostri candidati sono tutti straordinari e possiedono le necessarie doti umane e politiche per guidare il Pd. Ma ora che tutti gli aspiranti segretari sono ai blocchi di partenza, e dopo aver presentato la commissione regionale per il congresso, presto allargata anche ai rappresentanti delle varie mozioni, posso tranquillamente dire che darò il mio voto a Bonaccini. Ho accettato, com’è noto, la sua diretta richiesta di fare parte del comitato nazionale a suo sostegno. Ha dimostrato di essere un grande amministratore e sono sicuro che sarà in grado di avviare la rinascita del Pd. Abbiamo un’occasione storica per cambiare e non dobbiamo sprecarla, altrimenti la destra reazionaria di Meloni e Salvini governerà ancora per molto tempo. Non credo nell’unanimismo, ognuno ha il diritto e il dovere di votare per chi vuole, ci mancherebbe altro. L’unità del partito in Calabria, non significa adesione a una sola mozione nazionale intorno a un candidato: la diversità, il pluralismo, la discussione intorno alle idee sono una ricchezza per il Pd.».

Eppure alcuni, in tono polemico, hanno contrapposto il senso dell’unità invocato dal segretario regionale al concetto di pluralismo…
«Unità significa lavorare tutti avendo al centro dell’azione politica la Calabria e il Pd, nell’ambito di un processo politico inclusivo ed espansivo, capace di valorizzare, con efficacia e chiarezza, il progetto di sviluppo del nostro territorio, mettendo al bando le mere rivendicazioni personalistiche e le rendite di posizione che spesso sfociano in divisioni e polemiche strumentali, le quali, anziché aiutare e sostenere il partito, lo indeboliscono. Nel Pd calabrese servono tutte le energie positive. Quindi porte aperte a tutti nel perimetro di quanto prevede lo statuto e il regolamento. Tengo però a sottolineare una novità: il Pd calabrese, per ora con la sola eccezione di Schlein, che ha comunque assicurato una sua visita in Calabria nelle prossime settimane, ha aperto le porte a tutti i candidati alla segreteria. È un fatto positivo, vuol dire che il gruppo dirigente regionale è autorevole e crede nel pluralismo, un principio non sempre in voga, da queste parti… Va peraltro ricordato che, in passato, altri aspiranti segretari non sono stati troppi attenti nei confronti della Calabria - ricordo la totale assenza nell’ultimo congresso nazionale dei candidati in Calabria -, malgrado un certo unanimismo. Insomma, Il Pd calabrese ha, finalmente, voltato pagina».

Da capogruppo del Pd in Consiglio regionale ha caldeggiato una mozione, poi votata all’unanimità dall’Assemblea, per la Statale 106. Oggi, alla sua prima esperienza da senatore, si sente di confermare che solo se unita la politica può aiutare la Calabria?
«Sulle grandi questioni come la 106, o la Zes di Gioia Tauro, la politica calabrese deve avere la capacità di sorvolare sulle divergenze e di evitare inutili guerre di posizionamento. In certi casi è importante fare sintesi per il bene della regione. Il Pd è sempre stato una forza responsabile e continuerà a esserlo anche in futuro. Non si tratta di inciuciare con la destra, figuriamoci. La nostra opposizione alle politiche dei governi Meloni e Occhiuto non è in discussione. Abbiamo sempre condotto battaglie a viso aperto e continueremo a non fare sconti. Ma abbiamo anche il dovere di valutare senza pregiudizi tutti quei provvedimenti che possono avere ricadute positive per la regione. Il tasto dolente, semmai, è un altro, ovvero il fatto che il governo Meloni, finora, si è completamente disinteressato della Calabria e dei suoi bisogni. L’ultima manovra finanziaria lo dimostra: a questa regione il centrodestra ha lasciato solo le briciole».

Sul tema dell’Autonomia differenziata da più parti si è sentita l’esigenza di organizzare una sorta di fronte comune delle regioni del Sud. Al di là delle posizioni del suo partito, esiste questo fronte?
«Vedremo se questo fronte riuscirà a strutturarsi. Lo spero davvero, perché questa riforma non è nient’altro che una secessione mascherata. L’autonomia differenziata rischia di dare il colpo di grazia a tutto il Mezzogiorno. Noi non ci stiamo. Il ddl Calderoli è iniquo, presenta evidenti profili di incostituzionalità e ha già subìto la bocciatura della Conferenza Stato-Regioni. La riforma non farebbe altro che aumentare le disuguaglianze tra Nord e Sud, a partire dalla sanità. Non possiamo accettare il no alla perequazione e il criterio della spesa storica per il finanziamento alle Regioni. Per il Sud sarebbero colpi devastanti e dagli effetti irreversibili. Tra l’altro la Lega, affidando i Livelli essenziali delle prestazioni a una commissione, punta a delegittimare il Parlamento. Tutto questo è inaccettabile. Non permetteremo che il Paese venga spaccato in due da una riforma sconsiderata».

La riforma della giustizia è un altro dei temi caldi del dibattito politico. Come giudica gli esordi del ministro Nordio e la crociata di Gratteri sulle intercettazioni? Nicola Irto con chi sta?
«Il sistema giustizia ha bisogno di riforme, ma la destra continua a sbagliare tutto. Il ministro Nordio sta combinando solo pasticci, anche dal punto di vista comunicativo. Non è scavando un solco tra politica e magistratura che si risolvono i problemi. Il piano per modificare il sistema delle intercettazioni dimostra che il governo è fuori strada. Di tutto abbiamo bisogno, tranne che la lotta alla mafia e alla corruzione subisca una battuta d’arresto. Il Pd non lo consentirà».
Dal presidenzialismo al premierato delle ultime ore. Quanto è necessaria la riforma per il sistema Paese e in che direzione secondo lei si dovrebbe andare?
«La maggioranza sta facendo una gran confusione anche in questo caso. Le riforme istituzionali non possono essere trattate come fossero quisquilie, al solo scopo di accontentare il proprio elettorato. L’Italia ha bisogno di rivedere il proprio impianto istituzionale al più presto. La prossima riforma dovrà tuttavia essere non solo condivisa dal maggior numero di forze politiche, ma anche funzionale alla crescita del sistema Paese, non dei singoli partiti. Eventuali strappi e forzature da parte della maggioranza avranno un solo effetto: lasciare tutto com’è. Credo che non possiamo più permettercelo».