I nomi sono ancora tutti lì, sul sito della Regione. Basta raggiungere la pagina web della Calabria e fare una ricerca usando le parole “adesioni dei sindaci”, per ritrovare il fitto elenco dei primi cittadini calabresi che nel settembre scorso firmarono l’appello per la ricandidatura di Mario Oliverio alle Regionali del 2019. Duecento e passa amministratori locali che furono costretti ad assecondare la fretta del governatore, che volle mettere il cappello sulla candidatura prima di chiunque altro, approfittando del caos post-renziano che dominava il suo partito, il Pd. Oggi in pochi, probabilmente, avallerebbero nuovamente l’operazione, ma l’elenco è lì a ricordare che allora cedettero senza batter ciglio a quello che apparve subito come un ricatto politico, considerando che sino alla fine della Legislatura regionale, Oliverio avrebbe potuto (e ancora può) muovere le leve dei finanziamenti destinati ai singoli territori. Piuttosto che rischiare di restare tagliati fuori, in tanti ingoiarono il boccone amaro e virtualmente firmarono quel manifesto scritto dallo staff del presidente, ma spacciato come iniziativa autonoma degli stessi sindaci, giusto per edulcorare un po’ la portata dispotica di quello che appariva come un vero e proprio editto.

 

In quell’occasione il segretario regionale del Pd, Ernesto Magorno, restò zitto dinnanzi alla forzatura attuata da Oliverio, nonostante l’umiliazione subita dal partito che si vedeva imporre il “suo” candidato a un anno dall’appuntamento elettorale, e al diavolo le primarie. Nemmeno un Renzi nel pieno della sua parabola ascendente si era spinto a tanto quando, nel 2014, aveva dovuto rinunciare a imporre la candidatura a presidente della Regione di Gianluca Callipo, sindaco di Pizzo e attuale presidente di Anci Calabria. In quell’occasione, di fronte alle pretese del rottamatore di Rignano sull’Arno, che quell’anno la rivista americana Fortune metteva al terzo posto nella classifica degli under 40 più influenti al mondo, Oliverio si fece una grassa risata. O si fanno le primarie, disse, o mi presento da solo con una mia lista portandomi appresso il mio bacino elettorale. Renzi capitolò immediatamente e concesse la consultazione interna per la scelta del candidato, che Oliverio vinse con il 60 per centro dei consensi.

 

Questa volta, per il nuovo giro di corsa, la parola “primarie” non gli è venuta neanche in mente. E non è passata per la testa neppure a Magorno, che a settembre e nelle settimane successive non spese una parola per censurare l’autocandidatura del governatore, che pure aveva giurato e spergiurato che le elezioni regionali del 2014 sarebbero stata l’ultima competizione elettorale alla quale avrebbe partecipato, coronando così una lunghissima carriera politica che lo ha visto eletto per la prima volta consigliere regionale quando aveva appena 27 anni.

 

Oggi che il timoniere del Pd è cambiato e Oliverio deve suo malgrado fare i conti con le accuse di corruzione per l’inchiesta Lande desolate, che gli impone l’obbligo di dimora nella sua San Giovanni in Fiore, Magorno trova la forza e la motivazione per osare ciò che negli ultimi 5 anni non ha mai osato: dichiarare apertamente la sua ostilità al presidente della giunta regionale, ipotizzando addirittura di farsi la “sua” lista (benedetta da Renzi), nel caso che il partito confermi le ambizioni elettorali di Oliverio.
Immediatamente sono partite le reazioni dei rispettivi luogotenenti, ovviamente diametralmente opposte. Alle dichiarazioni del segretario provinciale di Cosenza, Luigi Guglielmelli, che ha chiesto la testa di Magorno («A Diamante sta facendo accordi con la destra, esca dal partito»), ha risposto il segretario provinciale di Catanzaro, Gianluca Cuda: «Le parole del senatore aprono una discussione che non può che fare bene al Pd. Nei prossimi giorni ognuno liberamente esprimerà la propria opinione sul progetto che il Pd calabrese dovrà mettere in campo per le prossime elezioni regionali. La speranza è che non si arrivi a criminalizzare chi ha un’idea diversa, perché la pluralità di opinioni è essenziale per tutti».

 

Al di là delle parole di circostanza che come al solito inneggiano al confronto e alla dialettica interna, il Pd calabrese mostra per l’ennesima volta una fratturazione endemica, capace di ricomporsi solo con il collante del potere. E ora che il maggiore rappresentante istituzionale del partito, Oliverio appunto, naviga in acque molto agitate, sballottato dai marosi giudiziari e da una pseudo-maggioranza che in Consiglio non perde occasione per impallinarlo, torna la guerra per bande, che adesso vede i diversamente zingarettiani da una parte e quello che resta dei renziani dall’altra. In mezzo, gli elettori di centrosinistra, che dovrebbero essere la principale preoccupazione del partito e dei quali, invece, nessuno sembra preoccuparsi.


Enrico De Girolamo

 

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