Il dibattito innescato dal nostro network sull’Autonomia differenziata, la riforma che spacca l’Italia, abbraccia ogni ambito della società civile e politica. Gli effetti della riforma leghista varata dal Parlamento preoccupano sempre più i cittadini delle regioni meridionali. Saranno loro, quando si voterà per il referendum abrogativo, a dover trainare il resto del Paese al voto. Il professore di Diritto Pubblico dell’Università della Calabria, Walter Nocito, a tal proposito evidenzia il ruolo della Chiesa Cattolica e delle gerarchie ecclesiastiche che «sono impegnate sul punto, anche con posizionamenti diretti e ben motivati».

Nocito parla di «rischi notevoli nella Scuola» derivanti dall’Autonomia differenziata «ma anche in ambito di università, di trasferimento tecnologico e ricerca applicata». L’intervista, però, parte dalla domanda che spesso si sente porre per diventare del tutto padroni dell’argomento.

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Come spiegherebbe ad un giovane che non ne ha mai sentito parlare cosa è l’Autonomia Differenziata?
«È un processo politico che ha natura e base costituzionale (nel titolo V della Costituzione in un apposito articolo, il 116). È stato scritto in costituzione senza un adeguato approfondimento dell'istituto e delle sfaccettature possibili, confidando nella leale cooperazione tra Stato e Regioni e tra regioni. L’Autonomia differenziata si sarebbe dovuta fondare su un impianto finanziario solidale e perequativo con attribuzioni limitate di competenze aggiuntive alle regioni ordinarie, previa adeguata giustificazione della richiesta regionale. Purtroppo dal 2001 in poi non è andata come previsto dalla riforma costituzionali per tanti motivi, prevalentemente politici».

Perché la Lega ha spinto così tanto per approvarla in Parlamento?
«La Lega ha scoperto molto tardi lo strumento dell’Autonomia differenziata. Tendenzialmente le regioni leader leghiste hanno reagito al tentativo di riforma costituzionale del 2015 e ad alcune tendenze centraliste dei Governi e della Corte Costituzionale, dovuti anche alla policrisi del 2008/2011 che in Italia ha picchiato duro e che nel nord ha attivato meccanismi di difesa di natura egoistica e antimeridionalistica. Negli anni 2018/2023 poi la Lega ha avuto affermazioni elettorali e grande consenso che l’Autonomia differenziata vuole consolidare trasformando Lombardia e Veneto in due Regioni "Speciali", con atti sostanzialmente costituzionali e strutturali».

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Si stanno raccogliendo le firme per il referendum. La consultazione popolare potrebbe essere un’arma a doppio taglio senza il raggiungimento del quorum?
«Sì, se il quorum Referendario ex art. 75 Cost. non fosse raggiunto, la spinta politica di Veneto e Lombardia e delle Giunte leghiste sarebbe molto rinforzata e sostanzialmente legittimata. Ma credo che il quorum sarà superato, visto il tema e soprattutto visto il fronte composito che si sta impegnando nel Comitato Referendario per il Si alla abrogazione della legge n. 86. Non è irrilevante in tale contesto anche il ruolo della Chiesa Cattolica e delle gerarchie ecclesiastiche che sono impegnate sul punto, anche con posizionamenti diretti e ben motivati».

Ci sono ambienti di centrodestra in cui le perplessità stanno emergendo convintamente...
«Sulla stampa la Destra italiana e meridionale sembra giocare il gioco delle tre carte. Non mi pare che nelle sedi decisionali e istituzionali, i parlamentari di Destra abbiamo mai espresso posizioni di concreto dissenso. I tre ambiti di azione delle manovre riformiste della Destra, evidentemente sono fonte di soddisfazione e di reciproco scambio per ciascuno gruppo politico (al momento gli ambiti sono Autonomia differenziata, giustizia, Premierato elettivo)».

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Lei è un accademico. Cosa implica un’istruzione differenziata da regione a regione?
«I rischi sono notevoli. Nella Scuola e negli Its in particolare, ma anche in ambito di università e di trasferimento tecnologico e ricerca applicata. Tra le preoccupazioni maggiori (fondate anche sui testi delle pre-intese venete e lombarde del 2018, ancora valide) certamente dobbiamo confermare i livelli retributivi che le due regioni rischiano di differenziare con strumenti regionali e con finanziamenti aggiuntivi che difficilmente il Governo controllerà. Sugli Its il discorso è più delicato ancora, ma probabilmente già la differenziazione è esistente in base al tessuto economico territoriale che vede un Nord dinamico con giovani operativi nella formazione tecnica».

Come immagina tra 10 anni l’Italia?
«Purtroppo l'Italia ha un enorme problema demografico. A sua volta il "fatto demografico" (come nel suo ultimo libro ha documentato il bravo Marco Esposito) è più che drammatico in alcune regioni come la Calabria dove non si spopolano solo le aree interne ma anche le città e le aree costiere. Temo che nel Mezzogiorno, già senza Autonomia differenziata, tra 10 anni ci saranno aree spopolate con popolazione residente invecchiata e età media in rialzo (ben oltre i 50 anni di media). Politicamente parlando, non si può dire se in Italia saranno al governo le forze del rancore e della paura (populisti) o forze più aperte alla speranza e alla innovazione sociale (liberali, sinistra, ecologisti). La questione non è affatto semplice anche perché l'Italia è dentro la dinamica politica europea e ne subisce effetti e contro effetti. Do You Remember la cosiddetta "lettera della BCE" del 2011?».