Il docente dell’Università della Magna Graecia non poteva essere percepito come l'uomo della porta accanto. Al contrario Fiorita non avrà difficoltà a istaurare un rapporto confidenziale con i suoi interlocutori
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Ed ecco che adesso, come in ogni competizione elettorale italiana, anche per le Amministrative di Catanzaro sono iniziate le analisi del giorno dopo. Quelle (rigorosamente social) che vanno a braccetto con le piroette lessicali (della serie: io avevo detto questo, non altro… mi avete frainteso, cari amici); gli equilibrismi dei pragmatici, desiderosi di accattivarsi subito le simpatie del nuovo "dominus"; i processi sommari e gli immancabili fulminei riposizionamenti. Nulla di nuovo sotto il sole, quindi. Fra tanti che cambiano bandiera alla velocità della luce e altri (pochi per la verità) invece speranzosi di vedere Nicola Fiorita andare rovinosamente fuori pista (con tanto di ritiro dalla corsa) alla prima curva, c'è chi come il numero due di Cambiavento Gianmichele Bosco, più fioritiano di Fiorita stesso, parafrasando Bella Ciao da comunista, orgoglioso e dichiarato, inneggia su Facebook alla cacciata dell'invasor. Peccato dimentichi però come con l'invasor, “alias” molti degli eletti del gruppo donatiano al primo turno, quantomeno ci dovrà scendere a patti se non addirittura per forza di cose governare. Detto questo, il "suo" Nicola ha vinto. Meglio, stravinto. Mentre, di contro, Valerio Donato ha perso. Anzi, straperso.
I numeri…opposti e lo strano effetto Cosenza
I più maliziosi in campagna elettorale per le Regionali andavano riferendo di una sorta di patto segreto fra il centrodestra occhiutiano e mangialavoriano disposto, anche per questioni di strategia interna, a rinunciare con un certa disinvoltura a Catanzaro e Cosenza in cambio di una “blanda partecipazione” di Pd e soci a quella competizione. Solo chiacchiere o tesi che, senza prove inconfutabili, restano teorie. Seppur suggestive. Ma i numeri sono, e rimangono, stranamente simili in una disfatta collettiva del centrodestra tanto in riva al Crati quanto in cima ai Tre Colli (a Catanzaro, peraltro, nell’ultimo quarto di secolo circostanza più unica che rara). Basti pensare che nel giorno del trionfo di Roberto Occhiuto, essendoci alle Regionali il turno unico, divenuto presidente a furor di popolo, il braccio destro del fratello Mario sindaco uscente, Francesco Caruso, chiudeva in testa il primo round sul praticamente omonimo Franz Caruso con una percentuale pari al 37.4 contro il 23.8 salvo poi perdere, subendo un autentico ribaltone appena 15 giorni dopo con un 57.6% in favore dell’avversario al cospetto di cui l’alfiere dei fratelli Occhiuto si fermava soltanto al 42.4 naturalmente. Dati che, pur parlando di valenza localistica e tante altre valide considerazioni, sono apparsi quasi impronosticabili. Se non altro nelle proporzioni. Stesso dicasi per il capoluogo in cui Fiorita l’ha spuntata ai playoff, per così dire, partendo da outsider che doveva rimontare un gap pari a oltre il 12% dal suo rivale Donato (44 al cospetto di un 32 scarso). Che si è però tradotto in un quasi 60 a 40, passando così dalle circa 6mila preferenza di scarto dal collega del 12 giugno al più 5.100 di ieri.
Il dato dell’affluenza? Decisivo
A chiunque mastichi la politica, capisca insomma la materia, ma non certo solo relativamente alla conoscenza di determinate informazioni (per quello basta un medio giornalista con buoni agganci), era chiaro come meno gente si recasse alle urne al ballottaggio e più salissero esponenzialmente le quotazioni di Fiorita. Perché? Presto spiegato. Il Nicola leader di Cambiavento, intanto, avrebbe potuto essere sindaco già 5 anni fa se solo il Pd locale non si fosse infilato in un cul-de-sac (come del resto in Calabria e nel resto del Paese gli è spesso capitato), optando per il pur degnissimo (ma forse inappropriato al ruolo) Enzo Ciconte. Ma questa considerazione c’entra ancora poco. La sostanza è che uno capace di arrivare privo di appoggi nazionali quasi al 24% nel 2017, Fiorita of course, era chiaro avesse intorno a sé una schiera di fedelissimi. Uno zoccolo duro di gente nella stragrande maggioranza dei casi nemmeno mossa dal bisogno, economico o di altre utilità, bensì quasi fideisticamente legata a un guru. Nemmeno al partito di riferimento. Ergo, se dall’altra parte c’era un competitor “avvolto” da un sistema costruito per vincere, senza se e senza ma, era di palmare evidenza come meno persone si fossero recate ai seggi e più si affacciava la concreta, per non dire certa, ipotesi della mancata tenuta del fronte unito dagli accordi e dalla ricerca del potere (non necessariamente da intendere in chiave del tutto negativa) in confronto a una coalizione in cui invece la parte di gran lunga più consistente si riconosceva e nutriva fiducia cieca, come premesso, nella figura di una sorta di santone da ammirare e venerare. Si può dunque asserire che, nell’occasione,l’amore puro ha prevalso sull’interesse.
Inizia l’era di "Nicolé" non quella del professore
Tra il serio e il faceto si potrebbe dire che Valerio Donato abbia pagato a carissimo prezzo anche lo scotto di non essere percepito, a torto o a ragione, come l’uomo della porta accanto. Vale a dire uno che magari, da politico consumato, ti prende anche in giro. Ma ti ascolta, o almeno fa finta, ti dà una pacca sulle spalle e quando lo incontri per strada gli puoi ad esempio urlare anche da lontano, a seconda dei casi, il vezzeggiativo Toninè, Pinicè, Michelè o appunto, come da adesso in avanti, Oe’ Nicolè. Impaqtto devastante e traumatico avrebbero invece probabilmente quanti fossero stati di colpo costretti a limitarsi a dire a un Donato eletto primo cittadino: «Buongiorno signor sindaco, se non addirittura professore mi ascolta un attimo per favore?». Davvero troppo, lo si ribadisce, forse per chiunque a Catanzaro, dopo 25 anni di… «Sergiarè, tutt’appost, taiu e parrara e na cosa importante e si no aj tempu mò, aiu ma vegnu ma ti trovu alu Comuna (Sergio caro, tutto ok? Devo parlarti di una cosa importante e se non hai tempo ora, devo venire a trovarti in Municipio, ndr)».