«Se no che fai, mi cacci?». Reclamava, quasi intimandola, questa pesante risposta Gianfranco Fini, sbottando, di fronte a un Silvio Berlusconi premier che alla convention romana del Pdl del 22 aprile 2010 chiedeva a sua volta allo stesso Fini - troneggiando su un megapalco - di scegliere fra continuare a essere il presidente della Camera superpartes senza quindi attaccare lui e il Governo, di cui in quel momento il Cav era a capo, o di dimettersi tornando nel partito a vestire i panni dell’uomo politico con un sacrosanto diritto di critica.

Una contrapposizione che, in piccolo, potrebbe essere ricalcata da quella fra il neogovernatore della Calabria Roberto Occhiuto (magari con accanto il lìder maximo dei forzisti calabri Giuseppe Mangialavori) e il coordinatore provinciale azzurro Mimmo Tallini. Che voci molto ben accreditate darebbero ormai fuori da Fi, giunto al bivio di andarsene volontariamente o farsi cacciare in modo palese.
Motivo di tale clamoroso benservito dopo anni di servizio alla causa? Semplice: la sua rottura prolungata e insanabile con Catanzaro da Vivere e dunque con Baldo Esposito e Marco Polimeni in primis. Un contrasto non sanato malgrado il tentativo di conciliazione a cui sarebbe ricorso in extremis il fondatore dello stesso gruppo, Piero Aiello, alla vigilia della formazione delle liste per le Regionali. Sforzo tuttavia inutile, poiché infruttuoso con il conseguente ostracismo di Esposito costretto poi a “emigrare” nell’Udc non prima di aver bussato a varie porte.

Sì, il riferimento è proprio alla guerra fra Tallini e gli aielliani (ribadiamo: Esposito e Polimeni su tutti), che starebbe costando l’incarico in Fi a un Tallini adesso indebolito da tante situazioni difficili fra cui l’ultima vicenda giudiziaria in cui è rimasto coinvolto, in attesa della sua definizione, e pagata a carissimo prezzo da un Esposito costretto a spostarsi nell’Udc in cui ha perso oltre tremila voti rispetto al 2020 (quando veleggiava nella Cdl con l’appellativo di mister 10mila preferenze) e soprattutto il seggio a Palazzo Campanella sebbene il primato nella lista non corroborato però dal raggiungimento della soglia utile per riguadagnarsi un posto al sole. Brutta botta per entrambi, uno non ricandidato(si) e l’altro bocciato dalle urne pur con un risultato personale ragguardevole. Dato inequivocabile. Ma quella del gruppo di Catanzaro da Vivere, a cui adesso serve il “coniglio dal cilindro” per continuare a esistere, non è certo una vendetta nei confronti dell’irriducibile avversario ed ex amico Mimmo.

Anzi, magari lo è pure. Ma in ballo c’è molto di più. Il siluramento talliniano serve infatti, costituendone il passaggio propedeutico, al ritorno di Piero Aiello (tra l’altro parente di quei fratelli Gentile, di nuovo vicinissimi a Occhiuto) e soci nel partito del Cav. L’ennesimo ingresso che tuttavia non è fine a se stesso. E sì, perché la manovra porta a un rilancio del citato gruppo con la candidatura a sindaco del capoluogo che a quel punto toccherebbe al “pater familias” Aiello o al deluso Esposito ovvero all’eterno aspirante Polimeni. Fatto secondario, però, rispetto alla rottura del precario stato attuale in cui si è in modo forse persino inavvertito ritrovato. E a nulla, a riguardo, potrebbero pesare i video social del padre del medesimo Polimeni, il popolare conduttore televisivo locale Lino, che durante la campagna elettorale ha ripetutamente definito Fi «il partito della mafia». Cosa c’entra il papà con il figlio? «Nulla», dicono i diretti interessati. Sarà così? Mah!