Dopo le dimissioni del giovane professionista, si sono scatenate le solite voci che lo danno pronto a sedersi al tavolo che affronterà il dopo-Abramo. Ma nella maggioranza di Palazzo De Nobili divampano i conflitti
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Un frullatore impazzito - il quadro politico catanzarese - in cui le voci si rincorrono, ma senza che nessuno dei protagonisti, o spesso sedicenti tali, dica la verità. Quale? Che è saltato il banco, anche nel centrodestra. E non da ieri, bensì da almeno tre anni. Ma sempre dopo che nello schieramento opposto, fiaccato alle Amministrative del 2017 da una sconfitta per certi versi devastante per quanto era imprevista in base alle previsioni della vigilia, il crac era stato immediato. La maggioranza tuttavia non ha fatto molta più strada, in senso politico quantomeno.
Le contraddizioni sono infatti subito emerse e il muro contro muro fra il monolite abramiano-espositiano (con la simpatia della deputata meloniana Wanda Ferro) e il nucleo storico dei talliniani, sullo sfondo di una divergenza di vedute (leggasi di assegnazioni di posti chiave!) in vista della disputa della grande partita giocata per le Regionali 2020, ha fatto (figurativamente parlando, s’intende) morti e feriti. Ha insomma scatenato guerre fratricide che hanno finito con lo scavare solchi profondi, anche in certi rapporti personali prima saldissimi.
Attenzione, parliamo di relazioni mantenute e curate magari anche per interesse. Anzi, spesso per questo motivo esclusivo. Ma pur sempre a prova di bomba. Fatto sta, però, che la lotta è iniziata sulla candidatura a sindaco dell’attuale presidente del consiglio di Marco Polimeni (in quota Aiello-Esposito-Abramo), ufficiosamente lanciata oltretutto mentre il suo predecessore Ivan Cardamone (neanche a dirlo della scuderia Tallini) nutriva lo stesso interesse. Un duello a distanza, caratterizzato da tanti sorrisi e una raffica di smentite sullo stile di quanto a inizio ’92 accadeva nella Dc fra Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani che da aspiranti al più prestigioso dei mandati, il ruolo di Capo dello Stato, amavano dire: «Se è in campo la candidatura dell’amico Giulio, o Arnaldo a seconda dei casi, la mia non esiste».
Altri tempi, altre figure e altri contesti, chiaro come il sole. La sostanza resta però inalterata così come l’aspra contesa, mai dichiarata, fra Tallini ed Esposito per la presidenza del consiglio regionale. Una lotta consumata fino alla mattina della votazione di Palazzo Campanella e hai voglia a negare l’evidenza. In modo analogo sarebbe inutile negare la “cruenta disfida” Tallini-Abramo. Scoppiata per l’ambizione di governatore di quest’ultimo.
Che in caso di effettiva investitura al sindaco di Catanzaro avrebbe escluso il primo - per la geopolitica in base a cui le due o tre cariche di maggior peso non possono andare a esponenti di una medesima città - dal novero dei papabili per essere il numero due della Giunta o il presidente dell’assemblea. Adesso, tuttavia, siamo alle solite schermaglie, seppur in parte dissimulate, che attraverso i consueti spifferi accreditano il passo indietro di Alessio Sculco, assessore dimissionario alle Attività economiche, quale mossa propedeutica all’essere poi proposto quale possibile sindaco al tavolo del centrodestra. Sarà pure, ma la matassa appare sempre più intricata. Sarà pure, ma la matassa appare sempre più intricata. Senza dimenticare che, fino all’ultimo, chiunque vorrà succedere ad Abramo nel centrodestra dovrà fare i conti con le mire di Polimeni, il quale a fare un passo indietro (o di lato) non ci pensa proprio fino al punto di andare allo scontro. Sotterraneo, magari.