Dopo tre mesi di incertezza e incredibili polemiche, il presidente del Consiglio incaricato ha annunciato la nuova squadra di Palazzo Chigi della quale fanno parte campani, pugliesi e siciliani. Ecco tutte le novità viste dal profondo Sud
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È un governo senza calabresi quello presieduto dal professore Giuseppe Conte e partorito dopo 3 mesi di crisi in cui si è visto e sentito di tutto, compresa l’incredibile farsa dell’impeachment durata meno di una notte.
Dalla punta dello Stivale nessuno andrà a sedere nella stanza dei bottoni. Nei prossimi giorni ci saranno probabilmente sottosegretari e altre nomine di piccolo cabotaggio, ma niente di paragonabile al peso del ministero dell’Interno guidato sino a poche ore fa dal reggino Marco Minniti.
È stato lui, negli ultimi due anni, a fermare con le buone e le cattive l’ondata di sbarchi che aveva trasformato la Calabria nella prima linea di un’Europa che del problema semplicemente se ne infischiava. Esponente di primo piano del Pd, ma abbastanza scaltro da tenersene sufficientemente lontano in pubblico per non compromettere la sua credibilità, Minniti non è stato mai un ministro campanilista, ma le sue origini consentivano comunque al provincialismo calabrese di gonfiare il petto.
Sensazione meno accentuata, invece, per Maria Carmela Lanzetta, ex sindaco-coraggio di Monasterace, sempre in provincia di Reggio Calabria, entrata nel governo Renzi due anni prima di Minniti, nel gennaio del 2014, con delega alle Regioni.
La sua esperienza a Palazzo Chigi è durata appena un anno, perché all’inizio del 2015 si dimise per entrare nella giunta di Mario Oliverio, nella quale però rimase solo una manciata di giorni a causa della presenza non gradita nell’esecutivo regionale di Nino De Gaetano, sfiorato da un’inchiesta sul voto di scambio.
Personaggio scomodo e troppo simbolico per una regione lacerata dalle ipocrisie anti-‘ndrangheta, Lanzetta è stata una meteora negli annali di Palazzo Chigi, ma comunque una meteora calabrese.
Il baricentro del governo Conte, invece, è decisamente più alto, e non potrebbe essere diversamente visto l’imprimatur del vero “primo ministro”, Matteo Salvini (che siederà sulla poltrona lasciata libera da Minniti), capo politico di un partito che fino a poco tempo fa aveva la parola Nord nel suo simbolo e cullava ambizioni secessioniste augurandosi che Vesuvio, Etna e Marsili agevolassero il lavoro.
Questo non vuol dire che il nuovo governo sia ad esclusiva trazione nordista, considerando che deve fare i conti con un coinquilino, il Movimento cinque stelle, che ha sbancato soprattutto al Sud. E infatti non mancano i ministri siciliani (Giulia Grillo, ministro della Salute e Giulia Buongiorno, Pubblica amministrazione), pugliesi (Barbara Lezzi, ministro per il Sud) e campani (Sergio Costa, ministro per l’Ambiente, e lo stesso Luigi Di Maio, vicepresidente del Consiglio e ministro del Lavoro).
Ma la Calabria a questo giro resta a guardare, in attesa dell’infornata di sottosegretari che, come sempre, servirà come contentino e soprattutto a tranquillizzare i bacini elettorali sparsi lungo la Penisola.
Perché questo sarà anche il Governo del cambiamento, come lo hanno definito i suoi maggiori azionisti, ma la politica si nutre sempre delle stesse cose: promesse e potere.
Enrico De Girolamo