Da anni si attendono il nuovo piano regolatore, la destinazione d’uso e la banchina croceristica già prevista nel Pot dell’Autorità di sistema portuale
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Tra scenari presenti e futuri, la posizione della multinazionale fiorentin-americana Baker Hughes, che in Italia opera attraverso la società Nuova Pignone, di non dare seguito alla proposta di insediamento industriale nel porto di Corigliano Rossano, sta facendo molto discutere. E non sono pochi quelli che auspicano un ripensamento.
I primissimi inviti alla riflessione indirizzati all’azienda – che, comunque smentisce categoricamente le indiscrezioni secondo cui starebbe pensando di trasferire l’insediamento a Monfalcone, alle porte di Venezia, e con esso le centinaia di posti di lavoro – fanno il paio con le incognite sul futuro del porto.
Decenni di attesa per la programmazione portuale
Un’area immensa al servizio della pesca, tra le vocazioni del territorio, e poco altro. Nei decenni si è ipotizzato di tutto e di più, dai risvolti commerciali a quelli industriali, fino alle aspirazioni turistiche, tarpate dalla mancanza di una banchina croceristica – paradossalmente già prevista da anni nel piano operativo triennale del porto predisposto dall’Autorità di sistema portuale dei mari Tirreno e Ionio con una dotazione di 12 milioni di euro già stanziati, ma ne servirebbero altri dieci – e da visioni politiche d’insieme della infrastruttura.
E tutto questo mentre le grandi navi da crociera, intercettate da tour operator locali, che prima attraccavano a Corigliano, seppur tra mille difficoltà come quelle relative alla mancanza di rimorchiatori, spesso presi in prestito da Taranto, oggi approdano – copiose – a Crotone, anche per volontà dell’autorità portuale. Quell’autorità tanto contestata dal sindaco di Corigliano Rossano, Flavio Stasi, perché negli anni – anche in questo caso si parla di decenni – non ha mai varato un nuovo piano regolatore del porto.
In quello scalo, peraltro, era originariamente prevista anche una darsena per il diporto, mai realizzata. Ecco che se allora manca quella visione d’insieme, la preoccupazione che il porto resti una “cattedrale nel deserto” del Mediterraneo, si fa sempre più stringente.