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«L’Autonomia differenziata farà scomparire i piccoli Comuni», la battaglia della sindaca di Malvito contro la riforma

La giunta guidata da Francesca D’Ambra ha approvato un documento contro la legge Calderoli: «Le aree interne saranno sempre più povere. Da qui la gente fugge per mancanza di lavoro, sanità, servizi scolastici. E il governo pensa a dare di più alle Regioni ricche»

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di Pablo Petrasso
10 agosto 2024
18:35
Nel riquadro, la sindaca di Malvito Francesca D’Ambra
Nel riquadro, la sindaca di Malvito Francesca D’Ambra

A Malvito lo hanno messo nero su bianco fin dall’oggetto della delibera approvata dalla giunta regionale: sono contrari alla legge sull’Autonomia differenziata. Sentimento diffuso nei piccoli Comuni e nelle aree interne, dove i servizi sono stati divorati dalla spesa storica e i diritti si fanno via via più sfumati. Francesca Rosa D’Ambra è il sindaco che ha sottoscritto il documento in nome del «principio di solidarietà tra cittadini e aree geografiche», che considera «un elemento fondante della convivenza civile italiana». L’impalcatura del Paese verrebbe meno perché la riforma Calderoli «divide la Nazione, impoverisce il lavoro, compromette le politiche ambientali, colpisce l’istruzione e la sanità pubblica e smantella il welfare». Un disastro che rischia di abbattersi sugli enti locali: «La legge penalizza i Comuni e la ree interne, aumentando la burocrazia e complicando la vita alle imprese, frenandone lo sviluppo territoriale».

Perché giudica l'Autonomia differenziata un pericolo per i Comuni come il suo?
«Inizierei dal termine "differenziata" il cui concetto mina il principio di unitarietà sancito dalla nostra Costituzione. Attribuire una maggiore autonomia alle Regioni in materie concorrenti come l’istruzione, le politiche ambientali e la sanità è, a dir poco, allarmante. Le regioni più agiate riserveranno per sé stesse quote di tassazione più alte che andranno a reinvestire nei propri servizi a scapito dei cittadini dell’intero Paese, venendo meno al principio di equa redistribuzione delle risorse e, certamente, le ripercussioni saranno più onerose per i Comuni delle aree interne del Sud con questa tipologia di regionalismo».


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Può farci un esempio concreto? Su quali servizi ai cittadini potrebbe incidere l'effettiva applicazione della riforma?
«Non vi è un servizio specifico ma, nella fattispecie, il taglio di risorse economiche si tradurrà in meno servizi fruibili per i cittadini. Altro nodo cruciale sono i livelli essenziali di prestazione, i Lep rientrano nei diritti di cittadinanza e un cittadino di Malvito deve avere gli stessi diritti di un cittadino di Torino poiché cittadini italiani e non perché residenti, rispettivamente, nella regione Calabria o nella regione Piemonte».

C’è un altro effetto collaterale collegato al taglio di risorse e servizi per le aree interne, quello dello spopolamento: quanto pesa su una realtà come Malvito la fuga, soprattutto dei giovani, dal Sud?
«Questa riforma, così concepita, recherebbe ulteriori danni alle nostre comunità ed è nostro dovere batterci per impedire che i nostri territori non diventino sempre più poveri e privi di servizi. I piccoli Comuni delle aree interne vivono una crisi divenuta sistemica. Sono comunità soggette a continuo spopolamento demografico che, oserei, definire “multidimensionale” perché assistiamo a diverse tipologie di emigrazione: lavorativa, scolastica, sanitaria, per mancanza di servizi. Abbiamo bisogno di politiche che guardino davvero ai luoghi marginali e riforme tese a rigenerarli. Non abbiamo bisogno di "differenziarci" ma di "eguagliarci"».

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Chi appoggia la riforma Calderoli sottolinea una questione: il divario Nord-Sud nasce e cresce in un’architettura istituzionale che non vedeva l’applicazione dell’Autonomia. L’idea, dunque, è che la colpa sia dello Stato unitario e che più poteri alle Regioni potrebbero invertire la tendenza. Cosa ne pensa?
«Non sono assolutamente d'accordo. Potrei rispondere con un altro quesito: Come si può negare che questa riforma causerebbe una trasformazione radicale nel principio costituzionale della forma di stato, mettendo in discussione l’identità nazionale?».

Quanto è palpabile il rischio che l’Italia ne esca spaccata?
«Il rischio è elevatissimo. Non favorisce un sistema solidale tra le Regioni ed il divario tra nord e sud si acutizzerà ulteriormente. Il Mezzogiorno che vive una condizione storica di difficoltà per la presenza di un sistema produttivo debole e per la mancanza di infrastrutture rischierebbe il definitivo collasso. I proventi delle tassazioni sono inesorabilmente molto più bassi rispetto a quelli delle regioni settentrionali. Regioni che non utilizzeranno fondi per l’assenza o la carenza di una rete infrastrutturale in un determinato settore, riceveranno meno fondi e ciò potrebbe comportare una mancanza di investimenti futuri.  In sostanza, chi è avanti, continuerà ad andare avanti. Chi è indietro, dietreggerà ancor di più».

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La raccolta delle firme per il referendum è partita di slancio: crede che sia possibile vincere la sfida e portare alle urne milioni di cittadini?
«I presupposti ci sono tutti. Nei primi 10 giorni, dall'avvio della Campagna Referendaria, si sono registrate 500 mila firme. Il dibattito politico sta entrando nel merito della riforma, a prescindere dall'identità politica o dal colore partitico. Sono tante le iniziative messe in atto da Nord a Sud, banchetti di raccolta firme e manifestazioni volte a sensibilizzare l'opinione pubblica sull'argomento in questione».

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