L'ex sottosegretario all'Economia spiega perché la riforma farà perdere competitività a tutto il Paese, anche alle imprese del Nord e sostiene che la tattica dilatoria di Occhiuto non serve. «Per quanto economicamente forti Lombardia e Veneto di certo non possono competere con la Germania»
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Stefano Fassina è ex deputato con una lunga esperienza di economia. Non solo è stato sottosegretario all’Economia del Governo Letta, ma ha anche collaborato come consigliere sia al Ministero del Tesoro, sia al Fondo Economico Internazionale.
Fassina ha recentemente scritto un volume che ribalta la critica classica sull’autonomia differenziata, sin dal titolo: Perchè l'autonomia differenziata fa male anche al Nord. Il libro verrà presentato il 13 settembre a Cosenza presso la Camera del Lavoro, con la partecipazione del segretario generale della Cgil di Cosenza, Massimiliano Ianni, del presidente della Camera di Commercio, Klaus Algieri, del presidente di Confindustria, Giovan Battista Pierciaccante e di Pino Fabiano, direttore Caritas arcidiocesi Cosenza-Bisignano.
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Fassina cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
«Principalmente l’obiettivo di far comprendere che l’interpretazione estrema separatista dell’autonomia differenziata, portata avanti dalla Lega, fa male anche ai cittadini del Nord. L’idea che per loro questa riforma sia vantaggiosa è un grande bluff. Dobbiamo dare una dimensione nazionale alla sfida di contrasto a questa riforma al di là del pericolo di mettere in discussione l’articolo 3 e l’articolo 5 della Costituzione che vede la nostra Repubblica come unica e indivisibile, spiego perché questa legge andrà ad incidere sulle condizioni di vita dei cittadini del Nord».
Ci faccia un esempio…
«Le posso riportare un fatto accaduto nelle settimane scorse in Germania. In uno dei land tedeschi il più grande costruttore di semiconduttori di Taiwan ha deciso di impiantare un mega stabilimento. Gli investitori hanno messo sul piatto cinque miliardi di investimento, altri cinque li ha messi il governo centrale tedesco. L’esempio ci dice che ormai la competizione si è fatta globale e dipende molto dal comportamento degli Stati nazionali. Per quanto economicamente forti Lombardia e Veneto di certo non possono competere con la Germania. A stento ce la fa lo Stato con il suo debole bilancio. Per questo dico che la riforma è fuori dalla fase storica perché con la globalizzazione gli Stati sono tornati protagonisti sul terreno economico».
Analisi interessante, ma a parte questo?
«Pensi ai guai che dovrebbero passare le imprese del Nord che si occupano di energia se le competenze sulle infrastrutture energetiche passassero alle regioni. Facendo un esempio un gasdotto che dalla Turchia arriva fino in Lombardia avrebbe bisogno di molteplici permessi e autorizzazioni, uno per ogni regione che attraversa. Un discorso che possiamo allargare ad ogni campo perché in ogni settore c’è il rischio di avere ventuno regolazioni diverse. Immagini un'impresa che produce in più regioni o che produce in una sola, ma commercializza in tutta Italia. Verrebbe soffocata dalla burocrazia con costi elevatissimi. Sarebbe una pesante perdita di competitività»
Il commercio estero è una delle materie che le regioni possono chiedere di autogestire senza bisogno di aspettare i lep. Che ne pensa?
«Un’altra follia. Pensi quanto potere contrattuale potrebbero avere Zaia o Fontana davanti a Xi Jinping o Lula. Già la Meloni ha problemi di rilevanza, figuriamoci loro. Le imprese tedesche invece avrebbero il supporto del Cancelliere, del Ministro degli Esteri. Poi c’è il problema delle competenze e delle strutture che riescono a garantire economie di scala. Roma non può certo permettersi di perdere pezzi di Ministero o di Ice. Chiedo a Zaia di indicarmi un solo economista che evidenzi guadagni in termini di efficienza e ricadute economiche positive di questa storia».
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Lei parla spesso di una interpretazione estrema, separatista, dell’autonomia differenziata. Lo fa per difendere l’errore del 2001 del centrosinistra?
«Io rimango convinto della bontà dell’articolo 5 della Costituzione che riconosce e promuove le autonomie locali, non ho alcuna ostilità quindi di fronte al principio di differenziazione rispetto alle specificità linguistiche, geografiche e produttive. L’unico errore compiuto dal centrosinistra nel 2001 è di attribuire a tappeto tutte le 23 materie senza specifiche attribuzioni; l’errore è stato quello di consentire l’attribuzione alle Regioni delle norme generali sulla scuola. Nemmeno nelle Nazioni più federaliste esiste una interpretazione così estrema e separitista su una materia cruciale come l’istruzione».
Ma lei ha firmato la petizione per il referendum abrogativo?
«Si, certo»
Non pensa che in caso di mancato raggiungimento del quorum, il referendum possa trasformarsi in un’arma a doppio taglio?
«Dopo aver invano combattuto nelle aule parlamentari è rimasta l’estrema ratio. Questa maggioranza non ha consentito un dibattito vero. Pochi sanno che già nel 2023 era stata presentata una proposta di legge costituzionale per emendare l’art. 116 della Costituzione ed introdurre criteri guida. Quella proposta fu però affossata dalla maggioranza. Certamente sarà complesso raggiungere il quorum, ma non impossibile. Soprattutto se spostiamo la battaglia dal Sud e la trasformiamo in battaglia di tutto il Paese. Al di là del risultato i numeri di firme che si stanno raccogliendo comunque sono un segnale politico importante che il Paese non può ignorare».
Che ne pensa della posizione ultima di Occhiuto sull’autonomia differenziata?
«Sia Fratelli d'Italia che Forza Italia hanno chiaramente in mente i danni che può provocare l’autonomia differenziata. Occhiuto li vive sulla propria pelle. Non potendo dire le cose come stanno per lo scambio politico con il premierato e la riforma della giustizia, ripiegano su questa via “indiretta”: facciamo prima i Lep, utile come ostacolo lungo il cammino della riforma. Penso che la questione è troppo importante, però, per affidarla a tattiche dilatorie. Servirebbe una discussione seria sulla forma di Stato e sulle autonomie locali. Tutti gli stati federali, ad esempio, hanno un ramo del Parlamento che rappresenta gli enti locali. Soltanto in Italia c’è un bicameralismo perfetto. Sarebbe una follia anche costituzionale avviare questo federalismo spinto e poi non avere una camera che rappresenta comuni ed enti locali. Tutto ciò porterebbe i Governatori delle regioni ad essere dei veri e propri imperatori, anche alla luce dell’attuale legge elettorale, con pieni poteri. Una follia».