I grandi numeri della raccolta delle firme preoccupano il governatore del Veneto: «I promotori del quesito vogliono spaccare l’Italia, la riforma è soltanto un decentramento amministrativo». Ma il Carroccio tace sui miliardi necessari a colmare il divario Nord-Sud
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È stato il più lesto a chiedere al governo di formalizzare le inteste sulle materie non Lep oggetto dell’Autonomia differenziata, cioè quelle per le quali non è necessario che lo Stato stabilisca prima i Livelli essenziali di prestazione.
Così lesto che un suo collega di maggioranza, il ministro Nello Musumeci, gli ha chiesto di frenare. Ora il governatore del Veneto Luca Zaia passa dalla fretta di partire con la riforma all’arrabbiatura per il referendum. O, forse, si dovrebbe parlare di preoccupazione politica. Perché tra il giorno in cui il Veneto ha chiesto l’attribuzione delle prime 9 materie e oggi sono arrivate le oltre 600mila firme raccolte per lanciare il referendum contro l’Autonomia: un macigno contro le intenzioni della Lega.
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Il mood è cambiato: per mesi il Carroccio ha cercato di disinnescare le preoccupazioni del Sud, parlando del ddl Calderoli come di un provvedimento che avrebbe smussato lo squilibrio territoriale Nord-Sud. Quell’approccio soft diventa adesso un attacco frontale al referendum.
Perché è vero che Zaia, in un’intervista al Corriere della Sera, parla di «massimo rispetto per tutti gli istituti democratici, a partire dal referendum» ma è altrettanto vero che, a suo parere, «il referendum spacca l’Italia. La cosa più vergognosa è far credere che i problemi del Sud non siano figli di una mala gestio, ed escludo gli attuali governatori, ma è accumulata nella storia».
Attento alle mancanze dei suoi colleghi governatori (non quelli attuali), Zaia dimentica che il criterio della spesa storica ha sempre penalizzato il Sud. E che per decenni il Paese ha deciso di investire sulla cosiddetta locomotiva del Nord, ora confinata in deposito, come ha detto con una metafora azzeccata il costituzionalista Massimo Villone. La ricetta – l’Autonomia differenziata elevata a legge – e soprattutto la fretta di alcune Regioni nel reclamare le materie senza che l’architettura della legge sia fissata e si recuperino le disparità, rischia di affossare il Meridione. Che, dunque, risponde in massa alla chiamata referendaria.
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Il governatore veneto glissa sulla domanda chiave: la preoccupa che gli italiani possano bocciare l’autonomia?
«Ho troppo rispetto per chi dovrà valutare l’ammissibilità del quesito, Cassazione e Consulta, per spingermi a immaginare i risultati di una consultazione che oggi non c’è. Annoto solo che i promotori, che considerano il governo nemico e solo per questo promuovono la consultazione, hanno avuto per la prima volta la possibilità di raccogliere le firme per via telematica».
Rispetto alle critiche del centrodestra, con Forza Italia in prima linea, Zaia si limita a osservare che «il centrodestra ha approvato la legge Calderoli e imposto di definire i Lep invocati da anni. Ma la narrazione che fa rabbia è quella degli avversari, che è francamente inaccettabile e una mancanza di rispetto nei confronti dei cittadini. Dalla stessa bocca io sento dire, in sequenza, che “l’autonomia è una scatola vuota” e che l’autonomia è uno spacca Italia”». Per il presidente della giunta regionale veneta la riforma è un semplice «decentramento amministrativo», e il vero problema è «la narrazione è orientata a diffondere inquietudine e paura. Se dici alla gente che la loro vita cambierà in peggio, che è un progetto studiato a tavolino per far fuori il Sud, è normale che la gente sia diffidente».
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«Ora senti dire che se il cittadino deve far le valigie per curarsi al Nord è perché i soldi sono andati al Nord. Quando il governo ha introdotto la definizione dei Lep, i diritti sociali e civili da Nord a Sud. Vuol dire che le disuguaglianze devono essere colmate. È questo che non si vuole?». Sulle centinaia di miliardi necessari per colmare quelle disuguaglianze, che nella legge Calderoli non compaiono, Zaia, però, non dice nulla. Il nemico numero uno è il referendum. O, piuttosto, la paura di finire travolti dalle urne.