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Autonomia differenziata, Calderoli ha paura del referendum («non s’ha da fare») e promette nuovi tagli al Sud

Il ministro degli Affari regionali “chiede” di cassare il quesito: «È inammissibile». Poi manda un messaggio al Meridione: «I Lep? Li finanzieremo con la spending review delle Regioni. La Campania, per esempio…»

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di Pablo Petrasso
9 agosto 2024
18:42
Roberto Calderoli
Roberto Calderoli

Se il governatore Luca Zaia ha avviato la fase dell’attacco al referendum contro l’Autonomia differenziata, l’ideatore della legge Roberto Calderoli fa un passo in più. Il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie si augura che la consultazione sia respinta dalla Cassazione.

È la fase 2 della risposta leghista alla grande mobilitazione popolare che ha raggiunto – tra sottoscrizioni online e raccolte ai banchetti – un milione di firme. Segnale chiarissimo, davanti al quale un osservatore attento come l’accademico Isaia Sales parla di «reazione simile a quella che si sprigionò con i referendum sul divorzio del 1974 e sull’aborto del 1981». Altro segnale: la Lombardia, regione che in teoria avrebbe solo vantaggi dall’applicazione della riforma, è terza in Italia per firme raccolte.


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Che il referendum spaventi il centrodestra è naturale: c’è il rischio che la maggioranza venga travolta. L’intervista di Calderoli al Sole 24 Ore rende esplicite le preoccupazioni. Se Zaia parla di una narrazione scorretta, Calderoli punta al cuore della questione. «Le regole però devono valere per tutti: nel 2015 il referendum che avevo promosso per l’abrogazione di un articolo della legge Fornero aveva visto 650mila adesioni, ma fu poi dichiarato inammissibile perché toccava troppe materie e perché la riforma delle pensioni era collegata alla manovra».

Ecco il punto, secondo l’autore della riforma: «Anche l’autonomia è un collegato alla legge di bilancio per cui, fermo restando la potestà della Cassazione sulla decisione, tutta questa operazione mi pare più mediatica e politica che realmente referendaria. Tutti poi sanno che il quesito che chiede l’abolizione dell’intera legge è smaccatamente inammissibile, tanto è vero che le Regioni contrarie all’autonomia hanno scelto anche una strada diversa con un quesito parziale. Anche perché non va dimenticato che stiamo parlando di una legge, per così dire, costituzionalmente necessaria». Calderoli punta a evitare la consultazione e svela di aver costruito la legge approvata in Parlamento proprio per rendere più difficile l’accettazione di un eventuale quesito che puntasse ad abrogarla.

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C’è un altro passaggio dell’intervista in cui il ministro spiega che, alla luce dell’attivazione della piattaforma per le adesioni online, «andrebbero ripensate anche le soglie minime delle adesioni per avviare referendum o proposte di legge di iniziativa popolare. La riforma del regolamento del Senato di cui sono stato promotore nella scorsa legislatura prevede l’obbligo sostanziale di esaminare queste proposte, ma se raccogliere le firme è così facile si può arrivare perfino alla paralisi del Parlamento. Poi, siccome il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, i promotori dovranno richiedere a tutti i Comuni i certificati elettorali dei firmatari e farseli validare, e non è un’impresa facile». Come dire, la speranza è che il referendum salti.

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Altro messaggio Calderoli lo riserva sui Livelli essenziali delle prestazioni e al loro finanziamento, non previsto nella riforma e quantificato in diverse decine di miliardi di euro. Il ministro manda un’altra cartolina al Sud: «Margini enormi possono arrivare da una spending review regionale che stani le inefficienze. Per esempio il Veneto ha 4,8 milioni di abitanti contro i 5,6 milioni della Campania, ma per il personale spende quasi la metà e per l’acquisto di beni e servizi, tra cui l’energia, circa un quinto. Sono differenze che vanno motivate, oppure eliminate. Non voglio togliere risorse al cittadino campano, voglio che quei soldi siano spesi meglio. Poi se occorreranno fondi aggiuntivi, non potremo metterli ovviamente tutti e subito, ma occorre partire e voglio rassicurare tutti: una base di partenza c’è già, e sta sotto il nostro naso. Ricordo infatti che la spesa pubblica, secondo i dati di Bankitalia del 2023, si aggira intorno ai 1.150 miliardi e che le prestazioni ai cittadini vengono già erogate. Il problema è proprio dato dal fatto che in alcuni casi vengono erogate male, qui è il nocciolo della questione e la sfida verso l’efficienza. In buona sostanza, i soldi ci sono ma occorre spenderli bene, ma forse qualcuno teme di non essere all’altezza». Nessun riferimento ai tagli storici della spesa e alle risorse sottodimensionate riservate al Mezzogiorno. È l’autonomia, bellezza.

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