Il ciclone Trump è in arrivo, preceduto da scosse telluriche che solo all’apparenza hanno un contenuto mediatico-propagandistico.
Ironia della sorte, proprio un imprenditore iper-liberista (ma anche autenticamente libertario in coerenza con il “Dna” della storia americana) qual è il nuovo presidente degli Usa, contornato dai più ricchi esponenti dell’economia innovativa che fa leva sull’evoluzione tecnologia e informatica, ha ottenuto il pieno mandato per modificare nel profondo le degenerazioni della globalizzazione.
La sconfitta dei finto-progressisti dem è epocale: hanno creduto di poter imporre ai popoli l’illusione della società aperta, offrendo avanzamenti sul fronte dei diritti civili delle cosiddette “minoranze”, ma restringendo fortemente i diritti sociali delle maggioranze, tra classi medie sprofondate nell’incertezza, e ceti popolari impoveriti e impauriti.
L’ideologia del tutto uguale e standardizzato, uniformato e omologato, secondo i modelli dettati dalle voraci multinazionali del cibo, della finanza, dei servizi primari, è stata respinta dal desiderio irrinunciabile di legami identitari manifestato da milioni e milioni di cittadini che si sentono violentati, sradicati, disorientati, sfruttati. L’ipocrisia dem è venuta fuori a colpi di guerre che hanno arricchito solo i produttori di armi, e si è infranta contro i ragionamenti semplici e pratici delle masse per nulla accecate dai santoni alla moda manovrati dalle consumate élites che predicano bene e razzolano male. Vivono nei salotti, sono stracarichi di privilegi immeritati e vogliono dettar legge a quanti ogni mattina per andare a lavorare prendono il bus o la metro! Risiedono in quartieri eleganti, scelgono le migliori università per i loro figli, ma condannano la presunta intolleranza di quanti hanno paura di sera a rientrare in condomini periferici assediati dalla criminalità comune.

I popoli sono in fermento, hanno metabolizzato l’ipocrisia del finto-progressismo e pretendono svolte radicali guardando al passato più che al futuro. Il rischio di nuove forme di nazionalismo esasperato c’è tutto, sperando che prevalga il buon senso in modo da incanalare il “no” al mostruoso impero globalizzato verso forme più corrette e funzionanti di collaborazione internazionale.
L’Italia e l’Argentina avevano in parte anticipato la stagione trumpiana che ora investe anche la Germania, mentre la Francia di Macron è fortemente indebolita accanto a un Regno Unito altrettanto schiavo di visioni ottocentesche. Londra è in piena stagflazione ed il leader laburista Starmer traballa.

L’Ue ha dimostrato tutti i propri limiti: è stata sconfitta su ogni fronte strategico ed ha continuato a sfornare regole su regole che hanno soffocato la piccola e media impresa. Solo nel 2025, mentre Musk è già pronto da tempo con il suo efficiente sistema satellitare, l’Europa si accorge di essere indietro di un decennio su tecnologie fondamentali. Però ci siamo occupati di misurare le vongole, di frenare la “sardella” calabra, di immaginare un mondo che non esiste mentre l’industria automobilistica del Vecchio Continente affonda.

La miopia di Germania e Francia che hanno dimostrato di non credere nell’Europa federale immaginando di primeggiare da sole in un mondo di giganti (Usa, Cina, India…), oggi fanno i conti con crisi pesantissime che rischiano di relegarle nella “serie B” dell’economia.
L’Europa troppo allargata, addirittura a ventisette, si è rivelata una cantonata devastante: ha preoccupato la Russia (giustamente!), ed ha trasformato l’Ue in un club autoreferenziale che sul piano della politica globale non conta quasi nulla.
Immaginate invece se, come avevano ipotizzato i grandi europeisti del secondo Novecento, oggi i Paesi fondatori della Cee (Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo), aggiungendo magari la Spagna, l’Austria, la Danimarca, la Grecia e pochi altri, fossero diventati un unico Stato Federale come gli Usa. Non è stato così, e questa è la ragione per cui l’Afd avanza impetuosamente a Berlino!
I popoli sono stanchi e scontenti: se ne prenda atto, e lo faccia soprattutto una sinistra il cui compito non è quello, costantemente richiamato anche in Italia dai poltronisti, di aggregare alleanze eterogenee pur di conservare la gestione del potere, ma di recuperare anch’essa le proprie radici.
Nel Nuovo Mondo disegnato da Donald Trump avremo essenzialmente due mega competitor: gli Usa (che spingeranno per estendere i propri confini naturali) e la Cina alla quale, commettendo l’errore più grande del Terzo Millennio, è stata offerta la sterminata Russia su un piatto d’argento. Alle porte delle stanze che contano bussano l’India ed altri Paesi Brics.
Farà bene Giorgia Meloni, se l’Ue continuerà ad essere dominata da burocrati poco illuminati, a far giocare l’Italia in proprio. Sapete perché? Perché il Genio Italiano, assieme all’immenso patrimonio culturale e identitario di cui disponiamo, sono allo stato un asset strategico che altri Paesi europei non hanno, zavorrati da modelli economici ormai insostenibili. Se fossi nei panni della Meloni lancerei una sorta di ultimatum all’Europa: accelerazione del processo di federazione politica per un primo nucleo, lasciando l’attuale Ue ai ventisette, oppure si sciolgano lacci e lacciuoli e si torni alla Cee, e cioè solo ad accordi di tipo commerciale. Trovo strano che in Italia qualcuno non si sia alzato per suggerire provocatoriamente a Trump: aggiungi anche la stelletta dell’Italia agli Usa, oltre che il Canada!