Il trend dell’affluenza si conferma al ribasso, anche se sul dato finale avrebbe potuto incidere la variabile amministrative. D’altra parte il dato percentuale consegnato alle 23, orario di chiusura delle urne di questo election day, non lascia spazio a commenti di sorta.

Ai seggi si sono recati soltanto tra il 20 e il 25% degli italiani secondo i primi exit poll. Un numero di gran lunga inferiore alla precedente consultazione referendaria. La rilevazione mette infatti in evidenza la perdita di quasi 30 punti percentuali rispetto al dato del settembre 2020 quando il Paese fu chiamato ad esprimersi sul referendum costituzionale inerente la riduzione del numero dei parlamentari. All’epoca si recò alle urne il 51,12% degli aventi diritto al voto (poco più di 26 milioni di italiani) esprimendosi con un netto “si” (69,96%) alla modifica costituzionale.

Di fronte a questi numeri, i 5 referendum promossi da Lega e Partito radicale sulla giustizia (la riforma del Csm, l’abolizione della legge Severino, i limiti agli abusi della custodia cautelare, la separazione delle funzioni dei magistrati e la loro equa valutazione) si configurano come un vero e proprio fallimento, forse il più grande di sempre. E dal punto di vista politico, se possibile, si trasformano in una débâcle che potrebbe avere anche dei riverberi pesanti sull’attuale tenuta degli equilibri in una già sfilacciata coalizione di centrodestra.

Lo si era messo in conto già nel momento dell’accorpamento, in un unico election day, della consultazione referendaria e della tornata amministrativa per quasi mille comuni (26 capoluoghi di provincia e tra questi 4 capoluoghi di regioni) che sono diventati un durissimo banco di prova per il braccio di ferro infinito tra Fratelli d’Italia da una parte e la Lega, sempre più in sintonia con Forza Italia.

Una situazione che ha prodotto la quasi scomparsa, ovunque, dei simboli partitici a favore del proliferare di liste civiche che nei simboli li richiamano, fornendo allo stesso tempo un alibi per non addossarsi eventuali sconfitte.

Ma che le cose si stessero mettendo male per i referendari, a caccia del quorum, lo si era capito non solo dalle denunce di scarsa visibilità ai quesiti, ma anche quando, dopo una campagna condotta in prima persona, Matteo Salvini ha preferito defilarsi, lasciando campo libero a senatori, deputati, circoli territoriali e volontari. Il nervosismo manifestato oggi, poi, con la consueta violazione del silenzio elettorale da parte del leader del carroccio, ma anche di Silvio Berlusconi, la dice lunga su una sconfitta bruciante che ora spera in un risultato “politico” positivo delle amministrative per non diventare una vera e propria Waterloo per Salvini, e perché no, anche per il Cavaliere.