Alla presentazione della candidatura di Wanda Ferro, il sindaco ha mostrato indignazione per essere stato escluso dalla coalizione di Valerio Donato: «Sono qui perché gli amici mi hanno voltato le spalle, manco fossi un delinquente…»
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Sergio Abramo contro tutti, come forse non lo si è visto e sentito in passato. Mai. Neppure nei momenti di maggior difficoltà come ad esempio dopo inchieste e relative immancabili bufere mediatiche abbattutesi sulla sua Amministrazione. Ma sarà per il fatto che ormai non si può più ricandidare per essere il primo cittadino del capoluogo in virtù del limite di mandati consecutivi raggiunto o per quanto successo negli ultimi mesi, ma sarebbe meglio dire negli ultimi 2-3 anni con le ripetute esclusioni dalla corsa per il governatorato della Calabria senza incassare almeno il “premio di consolazione” di un posto in giunta regionale, che stamani ha letteralmente sbottato. Lo ha fatto in occasione della presentazione della candidatura a sindaco di Wanda Ferro e dei 32 rappresentanti dell’unica lista, quella di Fratelli d’Italia of course, da cui sarà sostenuta la parlamentare meloniana. Altro, dunque, che il consueto proverbiale aplomb, “marchio di fabbrica” di un Abramo che è solito catechizzare collaboratori e fedelissimi esortandoli a non vacillare durante le tempeste bensì al contrario di tener duro in attesa di veder passare la buriana per poi tornare più saldi di prima al proprio posto come nulla fosse.
Stavolta non è stato così. E fuoco e fiamme sono usciti dalla bocca del diretto interessato. Abramo sembra infatti apparentemente calmo, seduto in prima fila vicino a una schiera di giornalisti nella Casa delle Culture di Palazzo di Vetro al piano terra di quella Provincia di cui sarà ancora al timone per un mesetto o poco più al massimo. Accanto a sé ha uno dei pochi che ringrazierà al termine di affondi, come premesso, micidiali. Il riferimento è a uno dei big di Coraggio Italia: il parlamentare Maurizio D’Ettore. Collega di Ferro a Montecitorio e, nella logica abramiana, soprattutto maggiorente di un partito che non lo ha scaricato «quando – sostiene lo stesso sindaco, forse persino con un velo di celata commozione – molti altri professatisi miei amici mi hanno voltato le spalle. Gente che asseriva di volermi bene salvo voltarmi le spalle, non alzando un dito in mia difesa nel momento in cui non mi hanno voluto nella coalizione di Valerio Donato manco fossi un delinquente. È inspiegabile. Eppure non sono un condannato e nemmeno ero candidato. Ma mi hanno detto no. Questa è la verità». Certo, affermando ciò, Abramo ha lasciato trasparire che l’alleanza con Ferro e Fdi sia stata quasi obbligata o comunque scaturita da necessità contingenti.
Circostanze last minute, si potrebbero insomma definire. Ma tant’è, perché l’attacco più virulento e per cui in tempi normali, ovvero in tempi in cui la faceva da padrona una politica diversa, si sarebbe probabilmente aperta una crisi istituzionale e magari sarebbe venuta giù persino l’amministrazione comunale, anche a tre settimane dal suo rinnovo per dare un segnale immediato di risposta. Ma adesso è un’epoca differente, ovvero quella in cui un primo cittadino può addirittura asserire dal “palco” di una convention: «Accusano tutti me per le cose che non vanno. Ma la realtà è che io lavoro 12, o più, ore al giorno per quasi l’intera settimana. E di cose importanti ne ho realizzate tante. Basti pensare che i catanzaresi mi hanno eletto per tante volte, premiandomi contro un1a sinistra inconsistente e parolaia. Detto ciò, però, quando ascolto le persone lamentarsi di quanto non va nei quartieri, raccomando loro di stare attente per chi votano. Perché spesso si dà il consenso a chi non è idoneo a rappresentare i territori. Senza contare che da noi i tre quarti dei consiglieri nemmeno è in grado di intervenire in Aula, non sapendo parlare l’italiano. Figuriamoci il resto».