Un viaggio in sei puntate per conoscere tutti i dettagli della dinastia Matacena, dall’avvento dei traghetti sullo Stretto fino alle indagini, i processi e la latitanza di Amedeo Jr nonché i suoi spericolati rapporti con la ‘Ndrangheta. I punti di collegamento con la stagione autonomista e delle stragi e la morte misteriosa a Dubai con la moglie indagata per omicidio.
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Il fascino mozzafiato dello Stretto e una dinastia di imprenditori capace di diventarne padrona incontrastata con i traghetti, in un’epoca nella quale Reggio Calabria è un laboratorio politico-criminale in pieno fermento, con la nascita di progetti meridionalisti e rapporti opachi tra mafie e servizi segreti deviati. La scelta di impegnarsi in politica e le relazioni del nuovo rampollo, pericolose e spregiudicate, con boss di primissimo piano della ‘Ndrangheta. Le inchieste, i processi, le condanne e le assoluzioni. Poi la latitanza all’estero e, infine, la morte sospetta di due protagonisti assoluti di quella dinastia. Tutto questo e molto altro, fra cui interviste esclusive a giornalisti e investigatori, è il podcast “Il patto con il diavolo – La storia di Amedeo Matacena”, realizzato dal giornalista Consolato Minniti per la società editoriale Diemmecom.
Un viaggio in sei puntate che, per la prima volta in assoluto, racconta con dovizia di particolari la nascita dell’impero dei Matacena, sin dall’arrivo di Amedeo Matacena senior a Reggio Calabria, la sua scelta di creare una società di navigazione dello Stretto e le successive tappe di crescita. Una decisione che fa il paio con l’asserita vicinanza del medico e armatore a personaggi legati a fatti concernenti i Moti di Reggio Calabria e non solo. Legami, mai giudiziariamente provati, ma a più riprese indicati da collaboratori di giustizia, anche con le più potenti consorterie mafiose della città.
Il percorso si snoda principalmente attraverso la figura di Amedeo Matacena junior, sin da quando, giovanissimo studente, si presentava a scuola in Rolls-Royce. La sua scelta di scendere in campo politicamente corrisponde con una serie incredibile di episodi che lo vedono protagonista diretto in riunioni e summit con i capi più carismatici della ‘Ndrangheta. È proprio la spregiudicatezza di Amedeo Matacena a rappresentare anche il principale limite della sua carriera politica che raggiunge l’apice con l’elezione alla Camera dei Deputati nella fila di Forza Italia. Aspetti di colore della vita di Amedeo senior e junior che approfondiremo grazie all’esperienza di un giornalista navigato come Filippo Diano, già corrispondente Ansa per un trentennio e oggi collaboratore dell’Agi.
L’ascesa dei Matacena e le trame di Reggio Calabria: interviste, intercettazioni e indagini nel podcast di Consolato Minniti
Nel corso delle sei puntate del podcast si affronteranno anche aspetti diversi e collaterali, come la nascita delle leghe meridionali, i progetti autonomisti e i sequestri di persona. Si proverà a capire cosa possa collegare Matacena al sequestro Ghidini e a quell’interrogazione parlamentare sui fondi neri usati dai servizi. Un percorso che sarà affrontato insieme a Michelangelo Di Stefano, esperto ed apprezzato investigatore della Polizia di Stato che, per anni, ha indagato su questi fatti e che – in esclusiva per Diemmecom – ripercorre le tappe fondamentali di quegli anni rapportandosi alla figura di Matacena.
Ancora, dalla viva voce di numerosi collaboratori di giustizia, emergerà la cifra della vicinanza di Matacena alla ‘Ndrangheta e alla cosca Rosmini in particolare. Ma anche una storica riunione, cui erano presenti i massimi vertici delle ‘ndrine reggine, alla quale prenderà parte anche l’ex parlamentare di Forza Italia formulando una proposta che lascerà perplessi i partecipanti. Nonché la sua presenza a Polsi insieme all’avvocato Giovanni Di Stefano.
Lo stato parallelo, il processo e la latitanza: Matacena tra Reggio Calabria e Dubai
La quinta puntata del podcast, invece, sarà un viaggio in quello “stato parallelo” che, a giudizio della Procura di Reggio Calabria con in testa il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, si sarebbe mosso per garantire a Matacena una latitanza serena dopo la condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma ancor prima si farà un passo indietro fino al “Caso Reggio”, dove Matacena fu arrestato e poi assolto, nonché al processo “Mozart”, episodio corruttivo per il quale l’ex parlamentare otterrà la prescrizione. Ancora, l’inchiesta “Breakfast”, il coinvolgimento dell’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, della moglie di Matacena, Chiara Rizzo, e della madre Raffaella De Carolis.
Infine, proprio nel corso della latitanza quasi decennale a Dubai, l’incontro con Maria Pia Tropepi, il decesso negli Emirati della mamma di Matacena, Raffaella De Carolis, e poi la morte improvvisa dell’ex parlamentare per infarto proprio quando era sul punto di poter tornare in Italia. Tesi che non convince gli inquirenti italiani. Attraverso una minuziosa ricostruzione degli elementi fino ad oggi emersi si farà il punto sulle indagini della Procura di Reggio Calabria che ipotizza come Maria Pia Tropepi possa aver avvelenato sia Raffaella De Carolis che Amedeo Matacena. In mezzo, due testamenti in contrasto tra loro con una pesantissima eredità, un matrimonio con rito arabo sul quale vi sono molte riserve e un passaporto nigeriano intestato a Matacena.
Telekom Serbia e le ultime rivelazioni: l’intervista a Sigfrido Ranucci
Sullo sfondo, però, quella profezia che lo stesso Matacena fece sul caso Telekom Serbia, affermando che una persona di sua fiducia avrebbe pubblicato atti scottanti qualora fosse accaduto qualcosa a lui o a qualcuno della sua famiglia. Dichiarazioni che sembrano anticipare quanto poi effettivamente avvenuto, sebbene ad oggi nulla si sappia di quelle carte compromettenti.
Da ultimo, l’intervista esclusiva al conduttore di “Report”, Sigfrido Ranucci, che rifletterà insieme a noi su cosa avrebbe potuto rappresentare un ritorno di Matacena in Italia e la possibilità che siano ancora tante le pagine da scrivere sulla storia di colui che, ricalcando le parole usate dei giudici che lo hanno condannato, aveva stretto “un patto con il diavolo” con la ‘Ndrangheta.