C’è un aspetto poco considerato del conflitto tra Russia ed Ucraina, che è in realtà quello principale: il tentativo di annullamento degli enormi debiti contratti dai paesi occidentali
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C’è un aspetto poco considerato della guerra tra Russia ed Ucraina, che è in realtà quello principale. In genere, quando si parla di questa guerra, si insiste sempre sugli aspetti di cultura politica e su quelli territoriali. Anche chi scrive ha insistito troppo su questo.
Facciamo quindi ammenda e consideriamo l’altro lato del discorso. La questione del Donbass, conteso da Russia ed Ucraina perché è l’area a più alta densità industriale in Europa dopo la Renania, è reale ma non è tutto. Allo stesso modo le mire degli Stati Uniti sul passaggio del loro gasdotto in territorio ucraino al posto di quello russo della Gazprom fa parte di un discorso molto più ampio, che afferisce al quadro economico mondiale degli ultimi quindici anni.
Dalla crisi del 2008 in poi l’inflazione è aumentata a causa della volontà del capitalismo occidentale di recuperare i profitti perduti nel 2009 ed è stata aggravata dall’insipienza dell’Unione Europea, che non riesce ad esprimere una vera politica economica ma solo asfittici compitini scolastici da ragionieri, che si muovono sul terreno esclusivamente finanziario.
Le sanzioni contro la Russia di cui parliamo oggi non sono una reazione all’aggressione russa all’Ucraina ma sono la causa di quella proditoria aggressione, perché esse sono cominciate molto prima dell’inizio della guerra, prima della presidenza Trump negli Stati Uniti addirittura.
In tutti questi anni, Stati Uniti, Regno Unito ed altri paesi occidentali hanno accumulato un enorme debito verso l’estero, soprattutto verso la Cina, ma anche verso la Russia e verso vari paesi asiatici. Da tempo i paesi occidentali tentano di rimediare a questo squilibrio con periodiche chiusure commerciali, giustificate con la scusa di volere interrompere i rapporti con “regimi” non abbastanza democratici, o meglio “illiberali”, come li definiscono.
Oggi noi occidentali le chiamiamo sanzioni, ma in realtà sono espedienti protezionistici. Bisogna dunque allargare il discorso e capire che il nodo chiave del conflitto tra Russia ed Ucraina è il protezionismo americano ed occidentale post 2008 contro la Russia e la Cina e la determinazione americana ed occidentale ad annullare i propri debiti attraverso una guerra. Questo spiega lo spirare degli attuali venti di guerra e la diffusa voglia irresistibile di mettersi l’elmetto. E l’atteggiamento “pacifista” della Cina - che, intendiamoci, in sé è giusto, con buona pace di Joe Biden - mira a ricreare un clima funzionale al recupero dei propri crediti.
Alla base del conflitto tra Russia ed Ucraina c’è dunque un colossale scontro capitalistico mondiale, che ha determinato un fenomeno definibile come “globalizzazione militare”. Negli ultimi quindici anni le spese militari sono aumentate del 440 per cento in Cina, del 169 per cento in Russia, del 58 per cento negli Stati Uniti e del 22 per cento in Gran Bretagna, mentre l’Italia è l’unico paese ad avere ridotto le spese militari del 19 per cento, anche se Draghi prima e Meloni adesso stanno cominciando a recuperare il terreno perduto.
Tutto questo però è una storia vecchia, che è scritta su un libro di centodieci anni fa, L’accumulazione del capitale di Rosa Luxemburg, nel quale già si leggeva del capitale finanziario che era, allora come oggi, lo strumento dell’internazionalizzazione del capitalismo, di quel capitalismo che, allora come oggi, giunto al suo più alto grado di sviluppo, esplodeva in una conflittualità globale che determinava la guerra.
L’accumulazione del capitale nel 1913 descrisse perfettamente il modo in cui, di lì ad un anno, il mondo sarebbe precipitato nella prima guerra mondiale. Oggi come finirà?
Questo modesto articolo non ha la pretesa di mettere il mondo sull’avviso come, a suo tempo, fece Rosa Luxemburg, peraltro inutilmente. Ecco perché raccomandiamo agli uomini di buona volontà, a qualsiasi livello, di tirare fuori dal museo questo libro, rileggerlo ed agire in conseguente controtendenza verso chi spinge per l’allargamento del conflitto russo-ucraino.
“Se Dio è dalla nostra parte fermerà la prossima guerra”, cantava Bob Dylan cinquantanove anni fa alla vigilia della guerra del Vietnam ma, con tutto il rispetto per Dio, è compito di tutti essere sabbia e non olio negli ingranaggi di questo nostro mostruoso sistema economico, che ad ogni fase di accumulazione si nutre di guerra. Con la speranza di essere meno sfigati di Rosa Luxemburg e di Bob Dylan.