Se dovesse passare anche in Senato, quella che poi diventerà legge estenderà la punibilità dei delitti di commercializzazione di gameti o embrioni anche ai fatti commessi all’estero da un cittadino italiano
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La Camera dei deputati, in prima battuta, ha deliberato: «La maternità surrogata è reato universale».
Ora al Senato sarà una passeggiata, quindi è prevedibile che entro quest’anno il Parlamento farà uno scempio (o anche, per essere più soft, un obbrobrio) giuridico, introducendo nel nostro ordinamento – che già vieta il ricorso alla maternità surrogata – un nuovo ed ennesimo reato nel caso si faccia ricorso a tale pratica all’estero, anche in un Paese dove la stessa pratica è legale.
Se dovesse passare anche in Senato, quella che poi diventerà legge estenderà la punibilità dei delitti di commercializzazione di gameti o embrioni e di maternità surrogata anche ai fatti commessi all’estero da un cittadino italiano.
Qui non è nostro obiettivo, da studiosi, prendere posizione (favorevole o meno) su una pratica di procreazione, quella della maternità surrogata, e questo per non cadere nell’equivoco generato dalla presa di posizione di alcuni parlamentari che si propongono di vietare ciò che nei fatti non si può perseguire.
Il lettore permetterà una breve premessa, prima di cercare di chiarire il perché di una presa di posizione così tranciante.
Le Camere quando vogliono possono lavorare con celerità e di fatto a volte lo fanno richiamando alla memoria, però, con il loro modo di operare, il Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, con il suo «è tardi, è tardi!», quasi non ci fosse altro tempo e bisognasse sempre e solo correre. Da troppi anni ormai ci siamo abituati alla tiritera per cui i lavori parlamentari sono lenti, farraginosi e che è meglio snellire (per esempio il numero dei parlamentari!) o meglio delegare la funzione legislativa al Governo (si veda il profluvio dei decreti-legge e decreti legislativi, numerosi come mai in questo Governo che è riuscito a superare, in questo senso, persino quello di Renzi e di Draghi). Bene. Anzi, male! Alla Camera sono bastate solo poche ore di discussione per giungere all’approvazione in prima battuta della bozza di legge sulla gestazione per altri, e i deputati avrebbero impiegato anche minor tempo se non fossero stati impegnati a convertire per l’appunto i tanti decreti-legge o a scrivere tante leggi delega. La Proposta di legge (C. 887) è stata presentata il 15 febbraio 2023, per poi essere abbinata ad altre due proposte (C. 342, C. 1026). L’esame in Commissione è iniziato il 23 marzo e si è concluso il 15 giugno, mentre l’iter in Assemblea si è aperto con la discussione iniziata il 19 giugno che poi si è conclusa lo scorso 26 luglio. Certo, non siamo ai livelli della legge c.d. ad personam (poi dichiarata incostituzionale) in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato (scritta per l’allora Presidente del Consiglio dei ministri, on. Berlusconi), licenziata in appena 20 giorni da entrambi i rami del Parlamento (il c.d. Lodo Alfano è stato presentato il 2 luglio 2008 in Camera dei deputati e approvato definitivamente dall’Assemblea del Senato il 22 luglio dello stesso anno), ma la discussione in tutto non sarà durata più di due ore.
Conclusa la lunga premessa, ritorniamo al nostro intento: dimostrare perché si è dinanzi a una norma penale che ha una portata sia simbolica che generatrice di mancanza di tutela del superiore interesse del minore (il c.d. best interest), principio, questo, che guida tutta la giurisprudenza sia nazionale che sovranazionale.
Data la fattibilità scientifica della procreazione medicalmente assistita (PMA), al Legislatore è riconosciuta, grazie all’esercizio della sua ragionevole discrezionalità, la possibilità di prevedere diversi livelli di tutela della maternità (protetta dall’art. 31 della Costituzione) fino a permettere a una gestante di decidere liberamente di portare a termine la gravidanza per conto della coppia (gestazione per altri), con la messa in discussione persino di quel dato naturale che si riteneva intoccabile, quello per cui mater semper certa est.
Come dicevamo, non intendiamo trattare della questione se in Costituzione la maternità surrogata sia consentita o, almeno, non vietata, ma solo rilevare che a oggi già esiste un esplicito divieto penale di tale pratica così come si evince dalla lettura dell’art. 12, c. 6, della legge n. 40 del 2004, per cui essa è punita con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro.
La proposta di legge appena approvata interviene non già sul quantum della pena ma esclusivamente sull’applicazione della legge penale italiana a fatti commessi in uno Stato estero.
A oggi mai nessuno è stato punito per aver fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero proprio perché tutte le condotte tendenti alla realizzazione della maternità surrogata sono realizzate all’estero (sic!), e, stante il principio della doppia punibilità (secondo l’art. 9 c.p. è punito il cittadino che commette in territorio estero un delitto punito anche dalla legge italiana), non si può di certo applicare una sanzione per condotte tenute in un Paese straniero in cui queste sono non solo consentite (lecite) ma anche regolate e disciplinate.
È evidente la finalità dell’estensione dell’incriminazione a tutto il globo terracqueo: impedire l’elusione del divieto di surrogazione di maternità, che in Italia avviene attraverso il c.d. turismo procreativo. Il mezzo per raggiungere il fine è quello della definizione di un reato universale su un fatto che non è universalmente reato, sta qui il problema. E non è universalmente reato a guardare a tutti quei Paesi anche occidentali, liberali e sicuramente democratici in cui tale pratica è lecita.
Anche se si contano due soli pronunciamenti della Cassazione penale (comunque di proscioglimento: una del 2016, l’altra del 2020) che sembrano essere di diverso avviso da quello da noi proposto, la dottrina unanime e la gran parte della giurisprudenza considerano perseguibili le condotte tenute all’estero solo in presenza del principio della doppia incriminazione, con la conseguenza che non è punibile la surrogazione di maternità se realizzata in uno Stato in cui tale pratica è lecita.
Ma c’è di più; il testo appena approvato non va neanche nel senso di quella giurisprudenza minoritaria prima richiamata, perché, sempre in tema di maternità surrogata, non rimandano al limite del principio della doppia incriminazione ma soprattutto tendono a derogare a quella disposizione presente oggi nel Codice penale (art. 9, c. 2) per cui il colpevole è punito «a richiesta» del Ministro della Giustizia; la qual cosa è di estremo rilievo in quanto oggi - per il delitto comune del cittadino all’estero punito con la reclusione inferiore ai tre anni, come è il caso che ci interessa - si rinvia all’opportunità o meno di procedere mediante una decisione politica e non già all’obbligatorietà dell’azione penale. Il rinvio alla decisione governativa, d’altronde, dovrebbe essere richiesto dalla delicatezza dei rapporti internazionali, dalla diversità di sensibilità etiche in materia presenti nei vari ordinamenti, in cui, per esempio, esiste la distinzione fondamentale tra la maternità surrogata come atto gratuito di solidarietà umana e quella commerciale, alla quale si accede con contratto di prestazione dietro corrispettivo.
Con la bozza di legge inviata per la seconda approvazione al Senato della Repubblica, invece, si mira a intervenire sulla normativa (art. 7, n. 5, c.p.) che riguarda i reati commessi all’estero, quella cioè che a oggi tende a punire con la legge italiana il cittadino che commette in territorio estero reati come quelli contro la personalità dello Stato oppure quelli particolarmente gravi e odiosi come la tratta di donne e di minori, l’abbandono di persone minori o incapaci, la propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa, il traffico di organi umani, la mutilazione dei genitali femminili, etcetera. Poi, dopo la strage di Cutro, vi è anche il nuovo reato di morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina (i trafficanti - come è noto - sono oggi perseguitati in tutto l’universo terracqueo).
Ritornando alla maternità surrogata, rileviamo, però, che siamo dinanzi, per la legge italiana, a un reato che è punito con la reclusione da tre mesi a due anni, come, per intenderci, il furto semplice (quello di una pera al supermercato!); quindi, un reato considerato (almeno sotto il profilo della pena restrittiva della libertà personale) non grave per la legge italiana e comunque non riconosciuto come tale universalmente. Siamo quindi giunti alla demagogia e al rischio di populismo penale.
Se si dovesse obbligare l’autorità giudiziaria a esercitare l’azione penale contro chi si reca all’estero per praticare la maternità surrogata (oggi rimessa alla richiesta da parte del Ministro), e dovesse venir meno il vincolo della doppia incriminazione, come si potrebbe punire quel fatto senza la cooperazione giudiziaria dello Stato estero in cui quel comportamento è lecito? Ci troveremmo dinanzi a un processo penale senza prove (sic!). Dalla concretezza al più alto livello dell’effimero e della propaganda più esasperata.
Il ricorso al Codice penale non può molto, se non nulla, anzi rimane del tutto parziale se non ci si preoccupa minimamente dei soggetti più deboli e vulnerabili, ovverosia di quei bambini già nati attraverso la maternità surrogata e che, pur non avendo colpa, continueranno a non essere riconosciuti e quindi non accolti.
Tutta la giurisdizione - Corte europea dei diritti dell’uomo, Cassazione e Corte costituzionale - chiedeva sì un intervento del Legislatore ma per disciplinare un fenomeno che è talmente complesso da non dover essere trattato in modo così sciatto e ridotto a mero slogan. Abbiamo bisogno di tutto tranne che di credere a un diritto penale onnipervasivo e al quale questo governo ha deciso di rinviare tutto fin dal suo primo decreto, per intenderci, quello contro i pericolosissimi rave party e i migranti che fuggono dai propri Paesi d’origine.
Il risultato della definizione di un incomprensibile reato universale sarà quello che ogni richiesta di trascrizione da parte dei genitori intenzionali equivarrà a un’autodenuncia (a una disobbedienza, come avvenuto - per come il lettore sa bene - per le questioni di fine vita con le azioni di Marco Cappato, e non solo), a cui seguirà un procedimento penale e, quindi, il rinvio della questione alla Corte costituzionale. Ancora una volta si assisterà a una supplenza da parte del Giudiziario di un Legislatore silente o che parla in modo gravemente parziale.
L’importante del resto è fare, a prescindere da cosa e da come lo si faccia: «è tardi, è tardi!».
*costituzionalista DESF-UniCal