Dopo un anno di conflitto armato tra Russia ed Ucraina la prospettiva di una guerra prolungata appare sempre più probabile, se non proprio certa. La responsabilità di questa drammatica prospettiva non sta tanto nel nazionalismo orgogliosamente idiota di Russia ed Ucraina quanto nell’irresponsabilità dell’Europa e degli Stati Uniti, che si chiudono in un rifiuto, ostinato e senza logica nel caso dell’Europa, ottuso ma interessato nel caso degli Stati Uniti, ad ogni possibilità di mediazione ed iniziativa di dialogo, se non per la pace, quanto meno per una tregua.

Questo anno di guerra ci pone dunque la necessità di allargare la riflessione sul conflitto tra Russia ed Ucraina e sull’attuale tensione bellica nei paesi europei. Come prima cosa diciamo che scenari di guerra così barbarici, ammesso che esista una guerra non barbarica, non si ricordavano dalla guerra della ex Jugoslavia di fine Novecento ed è così perché purtroppo le due guerre sono entrambe figlie dei “capolavori” dell’insipienza slava e del cinismo occidentale seguiti alla fine del “comunismo”, della “guerra fredda” e dell’ex blocco militare sovietico.

Come a suo tempo il conflitto nella ex Jugoslavia fu accentuato dai paesi occidentali, che sostennero i più aggressivi nazionalismi locali, analogamente nel Donbass i paesi occidentali e gli Stati Uniti nel 2014 hanno sostenuto l’Ucraina nella sanguinosa repressione dei separatisti filo-russi, che erano la maggioranza nella regione.

Questa guerra civile, che ha “prodotto” quattordicimila vittime, ha provocato la destabilizzazione dell’intera area russo-ucraina ed il mancato rispetto degli accordi di Minsk del 2015 da parte dell’Ucraina ha facilitato le successive intemperanze russe.

La brutale politica di potenza imperiale praticata dopo il 2015 dalla Russia, che ha cercato di recuperare la propria “centralità” perduta dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, è stata dunque una conseguenza dei massacri ucraini nel Donbass, fomentati dall’Occidente e segnatamente dagli Stati Uniti, come quelli nella ex Jugoslavia a suo tempo.

Non solo la Russia, anche l’Ucraina, gli Stati Uniti e tutto l’Occidente hanno quindi la responsabilità di non avere agito già da allora per la pace ma per la guerra, soprattutto gli Stati Uniti, perché avevano promesso che la Nato non sarebbe avanzata verso Est “nemmeno di un centimetroed invece si sono “annessi” quattordici paesi dell’ex impero sovietico

La “scorciatoia” militare intrapresa da Putin per dirimere la questione territoriale del Donbass e della Crimea si è dunque tradotta, un anno fa, in un’aggressione all’Ucraina, che ha avviato una guerra feroce.

Questa guerra, come tutte le guerre del resto, va fermata. Questo non significa chiedere la “resa” ucraina, ma costruire le condizioni per un “cessate il fuoco” immediato, bloccando così l’escalation militare. Solo se si fanno tacere le armi è possibile riprendere a discutere di tutto il resto, per difficile che sia.

Non sono né la Russia di Putin né l’Ucraina di Zelenski a potere fare questo. Putin continua a non riconoscere la dignità di nazione all’Ucraina, che è una realtà di fatto per quanto artificiose ne possano essere state le origini nel 1991 ed, all’inizio, voleva avere il controllo di tutto il territorio ucraino con l’annessione del Donbass ed un regime fantoccio. Di fatto continua a porre condizioni capestro all’apertura del tavolo di trattative. Nemmeno l’atteggiamento dell’Ucraina d’altronde appare improntato alla ricerca di una soluzione pacifica a breve scadenza, perché Zelenski, che inizialmente voleva solo la liberazione di tutto il territorio nazionale e non l’invasione della Russia, da molto tempo è passato all’ambizioso ma irrealistico obiettivo di fare crollare il governo Putin in Russia con una “vittoria militare totale”, concetto che ha ribadito recentissimamente dichiarando che l’Ucraina, entro la fine del 2023, vincerà la guerra.

Un piano di pace è possibile quindi solo attraverso una ragionata mediazione multilaterale condotta da Europa, Stati Uniti, Turchia e Cina su una possibile spartizione del Donbass o su un referendum sotto il controllo internazionale e la garanzia di non circondare, come al solito, la Russia con un “cordone sanitario” militare, al netto di quello che si può pensare di Putin politicamente.

Il diritto di un popolo aggredito a difendersi non si può negare a nessuno ed è quindi del tutto ovvio che l’Ucraina ha ogni diritto di difendersi, se e fino a quandi di difesa si tratta. Ma il riconoscimento del diritto alla difesa non significa sposare la “causa” di chiunque a parità di condizione. Nessuno ha sposato la “causa” dei talebani o dei tagliagole dell’Isis, no? Eppure anch’essi combattevano contro eserciti di occupazione.

Bisogna dunque impegnarsi al fianco del popolo dell’Ucraina e delle sue vittime civili, che subiscono la violenza della guerra, ma senza essere risucchiati dall’ideologia bellicista del suo governo.

Ecco perché la contrapposizione tra “difesa” e “resa”, declinata in maniera unilaterale dai pacifisti con l’elmetto nostrani, o “scemi di guerra”, come li ha recentemente chiamati Roberto Saviano, è fuorviante. Ma quanti anni passeranno prima che si arrivi ad una trattativa che salvaguardi la sovranità ucraina ed il diritto della Russia a non essere - ed anche solo a non sentirsi - circondata?