L’incomprensibilità dell’orrore che rappresenta il tempo concentrazionario suggerisce un dialogo continuo e circolare, un’ermeneutica senza pretesa di esaustività. Gli eventi storici enumerati e classificati secondo il criterio dell’αιτιον, restituiscono l’irrazionalità dell’evento alla razionalità della riflessione - seguendo il monito di Primo Levi: «Se comprendere è possibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre».

Il medesimo disagio avvertito nel suono acustico di quanto è avvenuto nei campi di sterminio è esplicativo della complessità della vicenda. La sua sistematica riluttanza a raffigurare un senso, a rientrare nei canoni tradizionali dell’interpretazione storica, provoca smarrimento. Ebbene parlarne significa affrontare un fenomeno che respinge ogni possibilità di lettura univoca. La tragicità della Shoah ha rinnovato e sconvolto la riflessione filosofica e i suoi temi, come ad esempio l’uso delle categorie di razionalità e di irrazionalità, nel tentativo arduo di comprendere e spiegare le causa dello sterminio o il rapporto tra la presenza del male nel mondo, e ancora l’esistenza e le caratteristiche di Dio e dell’uomo.

Alcuni interrogativi si delineano sul cammino ispido e pungente di un’archeologia del fenomeno storico: I Campi di sterminio sono il culmine di passioni e paure di lungo corso - come l’antigiudaismo e l’antisemitismo? Oppure sono solo una parentesi spaventosa della storia umana? Le risposte della filosofia furono diverse, “Il concetto di Dio dopo Auschwitz”, testo di Hans Jonas rimane ad oggi un punto di partenza nella riflessione sul male assoluto e su Dio; una voce ebraica, entro la cui dimensione esistenziale, emerge la concezione della Shoah come evento spartiacque nella storia del mondo.

Il filosofo avanzò provocatoriamente la proposta di cancellare l’onnipotenza dagli attributi di Dio, pena la rinuncia alla Sua bontà e alla comprensibilità del Suo agire nel mondo e nella storia. Pertanto il filosofo tedesco Theodor Wiesengrund Adorno - la malvagità umana realizzò “l’inferno reale” - distinguendo nettamente colpa e responsabilità collettiva; riferendo la colpa alle azioni compiute da un singolo soggetto agente e la responsabilità come ‘collettiva,’ sulla base del principio di appartenenza di un soggetto ad un gruppo.

Orbene anche la pensatrice tedesca Hannah Arendt citò la categoria della responsabilità, in tal caso, politica, di tutti coloro che vissero passivamente sotto il regime nazista. Inoltre la studiosa coniò l’espressione “banalità del male” per indicare crimini efferati come quelli compiuti dai nazisti- non tanto espressione di un “male radicale” ma il risultato di una semplice routine amministrativa - che privava gli uomini della facoltà di pensare e agire autonomamente.

Infine il contributo di questi autori sostiene il percorso della memoria per le generazioni future. È necessario ricordare, come sollecitazione continua a stare sempre allerta, attenti, solerti nell’accorgersi dei sintomi, dei segnali dell’odio e della brutalità umana, che serpeggiano sempre tra di noi. La memoria si oppone all’oblio, ed è su questa opposizione che si fonda il cosiddetto “dovere di memoria”. Dovere verso le vittime e verso un passato che ancora oggi ci tormenta e ci fa interrogare sulla “banalità del male”.