Anche il presidente facente funzioni Nino Spirlì incorre in un palese sbilanciamento nella misura in cui tende a dar conto solo del principio di precauzione con svilimento (irragionevole) della tutela del diritto all’istruzione
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«Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile, pertanto, individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro”. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona».
Questo è un passaggio di una celebre sentenza della Corte costituzionale che riguarda il bilanciamento dei diritti. Lo si riporta nella sua interezza perché con estrema chiarezza afferma ciò che dovrebbe essere scontato anche per i decisori politici e non solo per i giuristi, ma che, invece, sembra non esserlo: nessun diritto è più fondamentale di un altro; tutti i diritti costituzionali devono trovare una loro protezione in un costante bilanciamento degli uni con gli altri. Ciò non significa che i diritti fondamentali debbano necessariamente ricevere un eguale grado di protezione, ma piuttosto che il punto di bilanciamento, pur potendo riconoscere l’espansione di un diritto a svantaggio di un altro, non può mai giungere alla sospensione di una libertà o a una mortificazione sproporzionata e irragionevole di essa: si determinerebbe, in tal caso, la tirannia di un diritto su un altro, e ciò è costituzionalmente inaccettabile.
La pandemia da SarsCov-2 sta dimostrando, con tutta la sua drammaticità, quanto sia complessa l’attuazione di un bilanciamento ragionevole (tutela della salute e di tutti gli altri diritti, compreso quello all’istruzione), reso ancora più problematico da un rapporto tra Enti (Stato, Regioni, Comuni) troppo poco spesso improntato al rispetto del principio di leale collaborazione.
Se nella fase 1 dell’emergenza si è imposto il carattere preminente del diritto alla salute (primum vivere deinde philosophare) rispetto a tutti i diritti della persona, nella fase 2 è richiesto che il fisiologico «continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi» sia rivalutato.
Che cosa accade, ora, rispetto al diritto alla salute, in un contesto in cui si conosce l’elevata trasmissibilità della malattia, non esistono ancora delle cure efficaci, è appena stata avviata una campagna di vaccinazione di massa e alcune libertà (economiche, di culto, …) sono tutelate seppur in un grado variabile dettato dalla cromaticità regionale?
Il tema del conflitto tra diritto alla salute e quello all’istruzione e del problematico bilanciamento di tali diritti (ambedue) fondamentali è da qualche mese oggetto di pronunce giurisdizionali, anche in Calabria. Le ordinanze regionali si inseriscono in quel ginepraio di decreti-legge e DPCM che costituiscono la base normativa della definizione del bilanciamento tra la riapertura delle scuole e la tutela della salute di chi si reca a scuola per insegnare e per imparare.
La base legale, il fondamento giuridico del potere di ordinanza in capo ai Presidenti di Giunta regionale è previsto nell’art. 32, l. 23 dicembre 1978, n. 833, che consente a questi, oltre che ai Sindaci, di emanare ordinanze contingibili e urgenti «con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale». Tali soggetti istituzionali possono sì disporre per la materia di igiene e sanità pubblica, ma non hanno piena discrezionalità, in quanto il potere esercitato deve essere finalizzato al raggiungimento dell’obiettivo (che è anche quello dello Stato) di una simultanea tutela di salute e istruzione, ma esso deve essere declinato in relazione alle specifiche realtà territoriali, al fine di permettere lo svolgimento in sicurezza delle attività scolastiche. Inoltre, la deroga deve risultare strettamente necessaria, richiedendo per questo una precisa, documentata e non generica motivazione dei provvedimenti adottati con ordinanza. Questi, andando ad incidere sulle libertà fondamentali, devono rispettare il principio di precauzione così come quello di proporzionalità; in caso contrario il provvedimento sarà dichiarato illegittimo dalla giustizia amministrativa (sia dal TAR cha dal Consiglio di Stato).
Anche il presidente della Giunta regionale calabrese incorre, sovente, in un palese sbilanciamento nella misura in cui tende a dar conto solo del principio di precauzione con svilimento (irragionevole) della tutela del diritto all’istruzione.
La mancanza di una chiara e solida motivazione che giustifichi un’ordinanza palesa l’uso improprio dell’ordinanza stessa che è adottata a prescindere da una situazione che sia contingibile e urgente in modo uniforme a livello regionale. Che l’uso dell’ordinanza sia inopportuno lo si comprende anche a seguire le dirette facebook tanto di moda anche in terra calabra.
Queste palesano non solo una generalizzata deriva populistica, nella misura in cui si cerca un contatto diretto con i propri followers trattando il popolo come un soggetto uniforme e non piuttosto portatore di interessi diversi, ma anche un linguaggio poco accorto, nella misura in cui si ‘accusa’ una minoranza (di genitori) di imporsi alla maggioranza (di altri genitori). Intanto, non viene indicato il dato statistico su cui si fondano tali affermazioni, ma anche se ciò fosse bisognerebbe spiegare come sia possibile ritenere che alcuni genitori non abbiamo a cura la salute dei propri figli, tanto da chiedere alla giustizia il loro ritorno a scuola (sic!); inoltre, si commette un grave errore di prospettiva, nella misura in cui non si comprende che anche (e direi, soprattutto) la minoranza deve potersi esprimere.
Detto ciò, ricordiamo che è la stessa articolazione del potere che riconosce alle Regioni la possibilità di provvedere in senso più restrittivo rispetto a quanto disposto a livello statale, ma ciò sempre nel rispetto di precisi limiti: concreta situazione epidemica e limitazione di efficacia temporale degli interventi disposti. L’ordinanza, per sua natura contingibile e urgente, deve anche tenere conto della difformità tra i diversi territori della regione (piccoli e grandi centri) circa l’utilizzo dei mezzi pubblici da parte delle diverse comunità scolastiche e del grave problema del digital divided. Sono le medesime disposizioni statali a permettere una deroga regionale in peius, ma non anche che tale potere derogatorio sia esercitato se non con una rigorosa istruttoria e con una adeguata motivazione, sostenuta e comprovata da pareri e dati scientifici che mostrino l’andamento del contagio e giustifichino, dunque, l’assunzione di misure più restrittive rispetto a quelle statali. La qualcosa è mancata nella predisposizione in molti degli atti regionali in materia, in special modo nella assoluta assenza di riferimento di dati a supporto della stretta correlazione tra focolai attivi e impatto dell’attività didattica in presenza, con conseguente illogicità di una chiusura generalizzata delle scuole.
Un potere esercitato in difformità a questi approdi giurisprudenziali sarà sempre oggetto di ricorso, anche grazie ad una minoranza non silenziosa.