La statua dedicata a Giacomo Mancini, uno dei più acclamati e discussi leader politici calabresi è la risposta migliore a quello che lui è stato e a quello che ha fatto. Opera del maestro d’arte Domenico Sepe.  Intanto la data: il 25 aprile, giorno della Liberazione d’Italia dal nazifascismo. Al suono di Bella ciao, davanti ad una folla consistente. E poi il posto: l’inizio di corso Mazzini, quella strada lunga, larga, elegante che lui ha voluto diventasse un vero e proprio museo all’aperto, con capolavori d’arte di grande valore. Un salotto tra i più belli d’Italia. Cacciate a calci le automobili, fra le proteste dei commercianti e di quasi tutte le forze politiche, Corso Mazzini ha potuto respirare e rinascere. Si avviò così la rivoluzione dell’allora anziano sindaco Mancini. Cosenza non sarebbe stata mai più la stessa.

Ancora sul posto: la statua di Mancini è posta ad appena qualche decina di metri dal Palazzo di città. Scelta perfetta. Da quel palazzo lui ha saputo trasformare la città, secondo la sua idea. Sì d’accordo i debiti, le procedure, le cooperative, l’antipolitica, le modalità della sua azione amministrativa sono tutt’ora oggetto di laceranti discussioni. Ma dopo di lui Cosenza è stata un crescendo di bellezza e di centralità per tutta la Calabria. È diventata un grande punto di riferimento.

La statua: commenti contrastanti, tanti quelli negativi. La dimensione corporea l’ho trovata realistica, così come l’aspetto fisico, i lineamenti e le espressioni del volto, la sciarpa e il cappotto: sì, è lui. Non importa tanto che la statua sia una fotocopia: ma quando mai? Conta che sia il monumento al suo essere stato, alla sua memoria, a quello che di lui è rimasto.

Le critiche: è troppo bassa, doveva emergere e dominare. È vero: la statua è ad altezza d’uomo. Passando sembra di incontrarlo, qualcuno vorrebbe abbracciarlo, altri faranno un selfie. È lui, sì, con la sua altera bonomia, lui il socialista, anarchico e libertario, difensore dei ceti sociali più umili, estremista perché fuori dal comune e dal "normale".  Questo non basta? Mi chiedo: ma cosa avrebbe detto se si fosse visto su un trono a dominare il ‘suo’ magnifico Corso Mazzini? Secondo me avrebbe reagito in malo modo, col suo noto caratteraccio.

In ogni caso, anche dopo vent’anni dalla sua morte, Giacomo Mancini fa ancora discutere, diversamente non sarebbe stato quel grande leader che era, forse il più grande fra i leader calabresi, con una dimensione nazionale pari a quella di un altro grande leader calabrese: Riccardo Misasi. Anche lui meriterebbe un monumento.

Oggi torna tra la sua gente Giacomo Mancini”, ha detto nel suo discorso celebrativo l’amato nipote Giacomo Mancini jr. “Ha dato voce, rappresentanza e speranze alla nostra terra, ad iniziare da quei ceti che non ne hanno mai avuta abbastanza. Un politico del popolo, nella sua accezione più vera e più autentica. Da parlamentare coraggioso, da leader lungimirante, da ministro fattivo e risolutivo ha contribuito a scrivere pagine importanti per la crescita democratica del Paese. Ha concluso la sua vita da Sindaco, spendendosi per la nostra città fino all’ultimo giorno”.