Il rapimento della neonata a Cosenza ripropone il tema dei diritti delle famiglie non tradizionali: una storia che riguarda tutti
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Il 21 gennaio, a Cosenza, è stata rapita una neonata dalla clinica in cui era venuta alla luce. Dopo poche ore, la piccola viene ritrovata e la rapitrice viene assicurata la giustizia. Che si possa parlare di un lieto fine rimane comunque azzardato, non potendo scrutare sentimenti e sensazioni innescate da tale gesto, nelle vittime della vicenda. Certo è che in poche ore la notizia rimbalza su tutti i giornali e a distanza di settimane i principali programmi televisivi nazionali continuano a cercare particolari inediti e scabrosi, perché ormai si sa che al pubblico piace il dramma che diventa spettacolo.
Ma una questione torna prepotentemente – proprio perché ignorata - ad affiorare. Certo, solo per chi voglia andare oltre il caso singolare, per chi voglia abbandonare il gossip e seguire la riflessione. La questione riguarda il diritto alla genitorialità. Parlo di genitorialità e non semplicemente di maternità perché, se è vero che “i figli riguardano le donne”, è pur vero che non riguardano solo le donne, come - ahimè - si è pensato per anni.
Nonostante la parità dei sessi sia ormai stata raggiunta, una certa retorica, che vuole la donna realizzata solo se anche madre, è dura a morire, discorso che non vale per un uomo. Intanto i tempi entro cui si raggiunge una posizione lavorativa stabile si allungano e le capacità di investimento economico diminuiscono, rendendo sempre più difficile far coincidere le condizioni socio-economiche con quelle biologico-riproduttive.
Inoltre, assistiamo al delinearsi di nuovi modelli di famiglia, per i quali l’accesso alla genitorialità rimane un ostacolo nel nostro Paese. Parlo delle famiglie arcobaleno, che includono le coppie omosessuali, madri o padri single, famiglie dove uno o più genitori appartengono alla comunità LGBTQA+. In tutti questi casi, lo Stato non riconosce gli stessi diritti che vengono riconosciuti a una coppia eterosessuale e che invece gli verrebbero riconosciuti nella maggioranza dei Paesi dell’Unione Europea.
Ci vorrebbero molte più pagine per entrare nei dettagli della questione ma possiamo concludere che mentre il desiderio di essere genitori si scontra con condizioni avverse, l’Italia continua a registrare un calo delle nascite, di cui pagheremo le conseguenze. Mi chiedo: siamo davvero solo spettatori delle disavventure altrui, o in realtà già protagonisti di una storia che ci riguarda tutti e che, secondo i dati, non avrà un lieto fine?