L’assoluzione di Sandro Principe e degli altri ex amministratori di Rende, pone domande alle quali è difficile rispondere. Ma ce le dobbiamo porre. Anche perché parliamo di reati infamanti, che hanno ferito persone (prima che figure politiche) che sono state esposte alla solita pubblica gogna.

Prima di loro decine di altri casi iniziati nel clamore mediatico, conclusisi nel sottotono di una sentenza di assoluzione. I telegiornali nazionali e i soliti giornaloni si accorgono sempre e solo dell’accusa, mai dell’assoluzione, che finisce normalmente in 25ª pagina.

Sul cosiddetto "Sistema Rende", l’accusa aveva chiesto 9 anni di carcere per Sandro Principe, 8 per Bernaudo, 7 anni e 6 mesi per Ruffolo, 2 anni per Gagliardi. L’accusa puntava su presunti intrecci tra politica e clan Lanzino-Ruà.

Il caso Principe, come decine e decine di tanti altri casi in Italia, deve fare riflettere: perché accadono queste cose? Chi ha sbagliato? Perché le procure falliscono così clamorosamente? Come mai la magistratura giudicante ragiona così tanto diversamente da quella inquirente?

Sono troppo forti o troppo bravi gli avvocati difensori? Cosa manca alle procure: mezzi, uomini, strutture, denaro per fare indagini più precise e più puntuali? Non lo so. Ma lo vorrei sapere.

Una cosa è certa: di questo passo il danno più grave, in termini di credibilità e fiducia, finisce per pagarlo proprio la pubblica accusa. E questo sarebbe un maledetto regalo ai criminali veri, ai mafiosi veri, ai fuorilegge veri. Non ce lo possiamo permettere. E le lacrime di Sandro Principe (uno degli amministratori più innovativi e visionari calabresi) non possono lasciarci indifferenti.