In una riflessione pubblicata all'inizio del 1948 sul Corriere della Sera affermava che il mondo moderno è essenzialmente settentrionale ma l’autenticità delle cose è solo nel profondo Sud
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In una riflessione scritta prima di un viaggio in Calabria, intitolata La luce viene dal Sud e pubblicata all'inizio del 1948 sul «Corriere della Sera», Alberto Savinio affermava che «il mondo moderno è essenzialmente settentrionale. Meridionale era invece il mondo antico». Mentre il primo è aperto e sconfinato, il secondo è un «mondo conchiuso». Il mondo moderno, pur avendo molte qualità, ha un grande difetto: «Manca di anse, di manichi, e si è scelto come forma poetica l'illimitato». Suggeriva, allora, che ritornare «al mondo antico, o euclideo, o meridionale» significherebbe «ritornare a un mondo le cui porte tutt'intorno sono chiuse» e ciò consentirebbe di «non vivere più nell'ossessione dello sconfinato».
Più che la polarità, simmetrica ma quanto mai premonitrice, tra Nord e Sud colpiscono i caratteri che Savinio attribuisce al Meridione, intrinsecamente dotato di una forma “chiusa”. La definizione, precisa senza essere scolastica, non vuole sottolineare l'aspetto convenzionale di luoghi e persone del Sud. Chiarisce, all'inverso, come in Calabria lo standard, o l'uniforme che dir si voglia, condotto al limite, somigli al più vero e profondo naturale. È questa la strada che consente a Savinio di ritrovare lungo la sponda ionica della Calabria i luoghi della propria infanzia trascorsa in Tessaglia: luoghi dove il rimosso, quasi dimenticato, può riaffiorare per rivelarci sorprendentemente l'aspetto meno superficiale delle cose.
Proseguendo lungo questa stessa linea di pensiero, che consente di comprendere la cosa per mezzo di cose diverse, più profonde, ma non meno reali, il grande scrittore e pittore nato ad Atene condurrà gli scritti del suo viaggio calabrese, reperibili in un volumetto intitolato Partita rimandata, da qualche anno riproposto prima da Giunti e poi da Rubbettino con la cura, rigorosa e intelligente, di Vittorio Cappelli. Il Diario calabrese è colmo di quelle anse e di quei manici che Savinio riteneva essenziali per comprendere la modernità e suggerirle, allo stesso tempo, una strada migliore, che sorprendentemente passa più a sud.