Chiunque abbia l’abbonamento a Sky Cinema, da inizio settimana ha potuto guardare Calibro 9, film del regista Toni D'Angelo, con Marco Bocci, Ksenia Rappoport, Barbara Bouchet, Michele Placido e Alessio Boni.
“Un omaggio tramite un lavoro filologico sul cinema di genere italiano anni Settanta al vecchio Milano Calibro 9 del 1972”. Questo recita la sinossi della pellicola del 2020 che su tutti i portali del settore elenca peraltro i posti dove sono state girate le scene: Milano, Reggio Calabria, Anversa, Mosca e Toronto”. E Catanzaro? Non è citata. Ma sarà forse una dimenticanza di qualche distratto giornalista che assistendo alla proiezione o limitandosi al copia-incolla di qualche ‘riassunto’ del film, si è inopinatamente scordato dei Tre Colli.

Già, ma perché facciamo riferimento al capoluogo calabro? “Che c’azzecca”, direbbe Antonio Di Pietro? Semplice: basta rileggere le dichiarazioni del patron del Magna Graecia Film Festival Gianvito Casadonte, manager notoriamente molto vicino al sindaco Sergio Abramo e ad altri esponenti della maggioranza in Comune quale il presidente del Consiglio Marco Polimeni, rilasciate due anni fa, nell'aprile del 2019, in occasione della conferenza stampa di presentazione del lungometraggio. Opera per cui lo stesso Casadonte si era speso in prima persona, tanto da far sì che alcune sequenze si realizzassero in città con relativa permanenza della troupe in loco per settimane e l’effettuazione di numerosi sopralluoghi, anche in presenza di un emozionato Abramo, al Parco della Biodiversità o a Lido ad esempio.

Una centralità del capoluogo che aveva portato Casadonte - peraltro definito “tenacemente impegnato al progetto” - ad esclamare davanti ai giornalisti allora assembrati in epoca preCovid nella Sala Concerti del Municipio: «Calibro 9 è una coproduzione italiana, belga, russa e tedesca, nata in collaborazione con il Mibac, RaiCinema e Minerva Pictures, che innescherà sul territorio un meccanismo di crescita economica e culturale». Ma anche a spiegare: «Questo è il sequel di un noir-poliziottesco di successo che promuoverà l’immagine della nostra Catanzaro oltre i confini regionali e nazionali. Una grande occasione che mi auguro non sia una tantum, perché il sistema deve partire e garantire una seria programmazione. Solo così avremo risultati positivi a lungo termine». Bene, bravo, bis. Peccato, però, che leggendo qua e là e soprattutto vedendo il film di Catanzaro non c’è traccia. Si potrebbe insomma commentare che è come la nebbia di Totò, Peppino e la Malafemmina, ossia c’è, ma non si vede.

Non un richiamo alla città o la ripresa di un luogo simbolo si scorge infatti nella pellicola, che si limita a ritrarre scorci di Viale Emilia, del Parco (con l’inquadratura di un pilone di cemento colorato dai writers) e dell’anticamera dell’ufficio del sindaco che però nella finzione cinematografica è una stanza della Procura di Milano, per giunta di un pm corrotto perché in combutta con la ‘ndrangheta, tale Diodati, che in pochissimi potrebbero riconoscere forse persino nella medesima Catanzaro. Una delusione, lasciatecelo affermare.

E che dire di Stalettì, ridente località dell’entroterra ionico del capoluogo tramutata in un paesino teatro di una sanguinaria guerra di mafia con tanto di superboss nascosto in un bunker e insegna della cittadina crivellata di colpi. Ambientazione che sappiamo come al momento della realizzazione del film ha dato il via a un dibattito nella classe politica e nella popolazione locale sul se attribuire al luogo un nome di fantasia. Scelta che con il senno di poi sarebbe forse risultata più giusta alla luce di come potrebbe distortamente essere percepita la realtà stalettese al di fuori della Calabria.

Ma a parte questo, ci sfugge il modo in cui la pellicola potrebbe rappresentare un volano di sviluppo socioeconomico per la “nostra Catanzaro” che come premesso “c’è ma non si vede”. Meno male che almeno a finanziare Calibro 9 ci ha pensato la Film Commission regionale, che adesso malgrado la presenza di Casadonte con un importante incarico ha avuto la consegna dalle alte sfere della Cittadella di non ‘alimentare’ il cinema a cui la Calabria interessa solo come terra di malavita.