La regione si trova di fronte a una sfida cruciale: rivedere radicalmente il proprio modello economico. L'attuale dipendenza dalla pubblica amministrazione, dal terziario maturo e dai settori tradizionali rappresenta un vincolo alla crescita
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L'economia calabrese continua a essere caratterizzata da una forte predominanza del settore terziario: nel periodo 2013-2022 i servizi rappresentano in media oltre l'80% del valore aggiunto regionale. Questo dato potrebbe suggerire che la Calabria abbia raggiunto una fase avanzata del suo processo di sviluppo. Tuttavia, questo fenomeno di "terziarizzazione" non è associato a una crescita sostenuta della produttività o a un PIL pro capite elevato, come avviene nelle economie avanzate. Al contrario, si registra una ricchezza individuale tra le più basse d’Europa, indicando un paradosso: una struttura economica tipica delle economie mature, ma con un livello di sviluppo più vicino a quello delle economie arretrate. Come uscirne? Ridurre la dipendenza dai settori tradizionali a bassa produttività (turismo, agricoltura, commercio, PPAA), offrire beni pubblici di qualità, limitare l’ingerenza della politica e avviare - attraendo capitali extraregionali - una stagione di industrializzazione smart e sostenibile trainata dall’innovazione.
Una stagnazione generalizzata, con molte ombre e rare luci
Tra il 2013 e il 2022, il valore aggiunto regionale è rimasto pressoché stabile attorno ai 28 miliardi di euro annui, con un temporaneo calo nel 2020 dovuto alla pandemia, seguito però da una ripresa già nel 2021. Dal biennio 2013-14 al biennio 2021-22, la Calabria ha addirittura registrato una variazione media annua negativa del valore aggiunto pari allo -0,014%. È una stagnazione che interessa tutti i settori dell’economia, ad eccezione delle attività estrattiva che nel confronto tra i due bienni crescono ad un tasso del 7%, dovuto in gran parte allo shock esogeno di domanda del 2021. Altri settori come l'agricoltura, la silvicoltura e la pesca, insieme al commercio al dettaglio e all’ingrosso, mostrano una crescita modesta dello 0,25%, ovvero confermando la presenza di dinamiche non particolarmente forti.
Significativa e preoccupante è la contrazione (-3,23%) del comparto “alloggio e ristorazione”, che è il core del turismo. Nel settore delle costruzioni la crescita media annua è marginale (+0.055%), nonostante l’effetto espansivo dei bonus edilizi che nel biennio 2021-2022 hanno generato una ripresa settoriale, ma non tanto significata da recuperare la crisi del settore. Consistente è anche la perdita di valore aggiunto osservata nel settore finanza e assicurazioni e nella pubblica amministrazione (-1,13% all’anno). Infine, è utile evidenziare che il valore aggiunto del settore manifatturiero ha mostrato una crescita media annua dello 0,90%, segnalando una dinamica di contenuta crescita e una potenziale espansione nella produzione, che deve essere sostenuta da innovazioni tecnologiche finanziata da capitali privati e pubblici. Anche il comparto dell’agro-alimentare ha registrato un incremento del valore aggiunto pari allo 0,29%, suggerendo che, sebbene ci sia una certa crescita, il settore potrebbe affrontare meglio le sfide legate a cambiamenti nelle preferenze dei consumatori e nella competitività internazionale, necessitando di strategie mirate al potenziamento della propria efficienza e sostenibilità finanziaria, basata sulla valorizzazione delle risorse locali.
Una composizione strutturale debole
La stagnazione evidenziata dai tassi di crescita aggregati e settoriali è anche una diretta conseguenza della composizione strutturale dell'economia regionale. Questa si caratterizza per un'eccessiva predominanza di settori terziari maturi e della pubblica amministrazione, a scapito di settori in grado di generare beni e servizi ad elevato contenuto tecnologico ed elevata produttività.
Nel biennio 2021-22, il valore aggiunto della Pubblica Amministrazione ammonta a circa 7,3 miliardi di euro, corrispondenti alla metà del settore terziario e a più di un quarto (26,5%) del valore aggiunto regionale. Un euro su quattro della ricchezza regionale è direttamente ascrivibile all’azione della PPAA. È un dato elevato e che, comunque, sottostima il peso dell’azione pubblica nell’economia calabrese. Questo “peso” aumenterebbe a dismisura se scorporassimo dagli altri settori la ricchezza generata da risorse pubbliche.
Anche il commercio (12,5%), le attività immobiliari (14,7%), i trasporti (8%) contribuiscono con quote elevate alla formazione del valore aggiunto totale. La quota di ricchezza generata da questi quattro comparti (PPAA, commercio, attività immobiliari e trasporti) è pari ad oltre il 61% del totale. Questi sono settori rivolti prevalentemente alla domanda locale e a bassa produttività. È inevitabile che essi trainino i risultati generali: la stagnazione e la bassa dinamicità che li caratterizzano si riflettono inevitabilmente sul dato aggregato. Limitato, al contrario, è il contributo del settore alloggi e ristorazione (poco più del 3%) che è in parte rivolto al soddisfacimento della domanda extraregionale di servizi turistici. Come detto prima, è un comparto che dal 2013 al 2022 ha perso molte posizioni.
Se la terziarizzazione è così spinta (con una quota media dell'80% del valore aggiunto regionale), il contributo degli altri due macrosettori è necessariamente basso. Nel biennio 2021-22, l’agricoltura pesa il 5,2%, molto più della media nazionale, mentre il contributo al valore aggiunto totale dell’industria è pari al 14,1%, decisamente inferiore alla media nazionale. Questi valori riflettono una struttura economica consolidata, poiché stabili da decenni e non legati a variazioni congiunturali.
In estrema sintesi, la fragilità dell’economia regionale è dovuta a una "falsa" terziarizzazione, a un peso relativamente ancora elevato del settore primario e a una bassa incidenza del settore industriale, che, in aggiunta, presenta alcune caratteristiche che amplificano ulteriormente la debolezza strutturale dell’economia calabrese. Il primo elemento è che nel biennio 2021-22 il 38% del valore aggiunto dell’industria è dovuto alle costruzioni (era il 40% nel biennio 2013-14), mentre l’industria manifatturiera in senso stretto (incluso l’agroalimentare) contribuisce solo marginalmente alla creazione della ricchezza aggregata: in media, nel periodo 2013-2022, la quota del manifatturiero rispetto al valore aggiunto regionale è solo del 3.8%. In altre parole, è bassa in Calabria la rilevanza di settori che producono beni e servizi a domanda mondiale, mentre l’ipertrofia del settore pubblico e dei settori a domanda locale spiegano il declino dell’economia regionale.
Ripensare lo sviluppo economico della Calabria: meno Stato, più mercato
La debolezza del tessuto produttivo della Calabria mette in evidenza l'insostenibilità del modello di sviluppo attuale. È fondamentale ridurre l'interferenza dello Stato nell'economia, limitare l’arbitrio degli apparati burocratici e promuovere un mercato più libero e competitivo, in cui il settore manifatturiero possa innovare e crescere. È necessario un piano quinquennale per lo sviluppo e l’occupazione della Calabria, al termine del quale le risorse pubbliche spese in economia saranno minime e utilizzate solo per sfruttare le complementarità con i capitali privati. Per facilitare questi cambiamenti è essenziale rimuovere i vincoli di offerta e soddisfare le precondizioni dello sviluppo in ambiti chiave come sanità, istruzione, giustizia, burocrazia e legalità.
Un Piano Nazionale e Regionale per la Calabria che, in cinque anni, accresca l'attrattività dei territori per promuovere la concentrazione geografica di investimenti produttivi e generare reddito e occupazione duratura. L’esperienza insegna che è l’unica alternativa all’equilibrio di sottosviluppo cui è destinata la Calabria senza violenti shock strutturali, in quanto è risultato palesemente fallimentare utilizzare risorse pubbliche per irrobustire la pubblica amministrazione, finanziare apparati regionali che creano consenso, stimolare occupazione senza lavoro e finanziare imprese prive di robusti piani industriali. In Calabria, l’allocazione di fondi in bonus e progetti improduttivi deve essere rivista, spostando l’attenzione verso investimenti che seguano logiche di merito, innovatività e redditività.
L’obiettivo del Piano deve essere, quindi, quello di annullare gli svantaggi di localizzazione in un territorio regionale che oggi è ancora ostile alla crescita. Se l’esempio più recente di questa ostilità è rappresentato dal mancato investimento della multinazionale Baker Hughes nel porto di Corigliano Rossano, quello più eclatante rimane la desertificazione industriale del retroporto di Gioia Tauro. Si tratta di un’area perfino classificata come area ZES (Zona Economica Speciale), vocata ai grandi investimenti e che gode di corposi vantaggi di localizzazione, poiché avvicina le imprese ai mercati di approvvigionamento delle materie prime e di sbocco dei prodotti finali. È assurdo che Gioia Tauro sia ancora identificato come un porto di solo transhipment, quando potrebbe essere il fulcro della rinascita dell'intera Calabria.
Parallelamente al Piano per l’attrattività, è necessario dotarsi di una politica industriale e dell’innovazione rivolta agli investitori internazionali. La nostra regione deve guardare con interesse ai piani industriali legati alle dinamiche globali e, in tale prospettiva, è importante fissare come priorità dell'agenda delle politiche economiche nazionali e locali la valorizzazione dei risultati della ricerca prodotta nel sistema universitario. Infatti, in presenza di imprese che domandano lavoro qualificato, la realizzazione di un efficace piano di innovazione industriale rafforzerebbe la funzione delle Università nella creazione di posizioni lavorative altamente professionalizzate, ad elevata remunerazione e, quindi, in grado di contribuire a trattenere la forza lavoro formata in regione. Se l’idea è di credere alla forza propulsiva di un modello di crescita trainato dalle esportazioni, la strategia da seguire è quella di specializzarsi in settori del manifatturiero e dei servizi avanzati che guardano all’innovazione (pubblica e privata) come unico fattore che accresce la produttività e aumenta la competitività sui mercati mondiali.
In sintesi, la Calabria si trova di fronte a una sfida cruciale: rivedere radicalmente il proprio modello economico. L'attuale dipendenza dalla pubblica amministrazione, dal terziario maturo e dai settori tradizionali rappresentano un vincolo alla crescita. Solo attraverso una riforma dell’offerta di beni pubblici, di ridimensionamento del ruolo dello Stato (inteso in senso largo) e di articolate strategie innovative si potrà sviluppare un’economia più dinamica e competitiva, capace di generare ricchezza e opportunità. La strada per il rilancio passa dalla creazione di un ambiente favorevole alle imprese e dall’industrializzazione smart e sostenibile, due condizioni necessarie affinché la Calabria possa finalmente spezzare il circolo vizioso della stagnazione e del declino.