Ho avuto modo di leggere l'intervento del mio amico Franco Laratta e benché gli riconosco onestà morale, personale e intellettuale, dichiaro immediatamente di non essere d'accordo, in merito alla sua analisi sulla opportunità di dimissioni dell'attuale classe politica, allorquando si inizia un procedimento di indagine.

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Ma scherziamo? Vogliamo sul serio ridurci al fanatismo propugnato in Iran dagli Ayatollah, oppure nei regimi laddove non esiste lo Stato di Diritto?

E poi, chi dice che queste ipotesi accusatorie siano vere o comunque possano reggere innanzi un pubblico processo, in cui solo lì -secondo il nostro ordinamento (o, almeno, formalmente, così sarebbe o parrebbe essere) si 'forma' la prova. Qualunque o qualsiasi prova, dalla quale, bene intesi, discende poi o la piena assoluzione (con le diverse formule, ma sempre di assoluzione trattasi e ciò accade nella maggioranza dei casi), oppure qualche sporadica condanna.

Suvvia, caro Franco, evitiamo di spargere le spore del fungo velenoso quale è moralismo e giustizialismo, poiché altrimenti ci ritroveremmo con macerie giurisprudenziali, sul cui capo di chicchessia, potrebbero abbattersi i suoi macigni, prima o poi, presto o tardi, inesorabilmente e senza avere nessun riparo e garanzia costituzionale.

La cultura del sospetto, intrisa di discutibile, non si può brandire avverso la classe politica o esclusivamente verso essa medesima, poiché, allora, tale concetto, dovrebbe essere parimenti applicato, financo ai magistrati inquirenti, i quali, in seguito alle loro sconsiderate azioni, in almeno tre casi negli ultimi trentuno anni, sono stati mallevadori, della fine di Governi -Amato I, Berlusconi I e Prodi II- con assieme e in combinato disposto, le stesse legislature, cioè l'XI (1992/1994), la XII (1994/1996) e per la risultanze di un 'destino cinico e baro', proprio della tua di appartenenza, caro Franco, ovvero la XIV (2006/2008).