I riti collettivi sono tra le più ancestrali pratiche dell’umanità. Della kermesse ci restano immagini iconiche, canzoni da continuare ad ascoltare e quelle sconfitte che possono sperare nel successo dopo
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Si è appena conclusa la 75esima edizione del Festival di Sanremo e siamo tornati alla normalità. Sì, perché quella di Sanremo è una settimana in cui si interrompe la regolare agenda dei palinsesti televisivi, creando un effetto bolla che invade, negli ultimi anni, anche e soprattutto i social. Non importa che piaccia o meno perché – si sa - per una settimana ci sarà quella sorta di sospensione propria dei riti collettivi.
I riti collettivi sono tra le più ancestrali pratiche dell’umanità. Che si trattasse di ottenere il favore delle divinità o di propiziare un buon raccolto, si creava un momento di coesione sociale che prevedeva l’esecuzione di pratiche eccezionali rispetto all’ordine costituito. Molti aspetti dei riti collettivi sembrano ritrovarsi nel Festival di Sanremo.
Sanremo crea un tempo parallelo, un tempo stra-ordinario, separato dal ritmo abituale della vita quotidiana: è un programma di prima serata che ha una durata maggiore di un normale programma in prima serata e si sviluppa – altra eccezione – come appuntamento fisso nell’arco di cinque serate consecutive. È un evento che si ripropone in modo ciclico: ogni anno e sempre nello stesso periodo, ma ogni volta in modo nuovo. Aspetto che consente, altresì, di cogliere l’evoluzione della società. È uno spettacolo che segue una propria prassi, per essere sintetici: la presentazione delle canzoni, il voto, la serata finale con proclamazione del vincitore. Il Festival è inoltre dotato di una propria simbologia, per citarne alcune: i fiori, il teatro Ariston, il leone rampante come trofeo.
Soprattutto, come ogni rito collettivo, Sanremo ha il potenziale di raccogliere milioni di persone in un’esperienza condivisa. Esperienza che, con l’integrazione dei social, assume una risonanza ancora maggiore: le gif, i commenti, le immagini che diventano virali. Non da ultimo, l’esplosione del “Fantasanremo”, un gioco che consente una partecipazione attiva degli spettatori attraverso la creazione di proprie squadre con i cantanti in gara, alle quali saranno assegnate dei punti.
Per secoli, è stato soprattutto il calendario religioso a dettare quei “momenti di eccezione” che permettono di vivificare l’esperienza comunitaria. Riti collettivi che non sono scomparsi, pensiamo alla Messa domenicale o alla Settimana Santa che precede Pasqua, ma che sono sempre meno sentiti e partecipati. A colmare questo vuoto intervengono nuove forme di aggregazione sociale comunitaria: un concerto, un mondiale di calcio e… Sanremo. Si tratta di riti collettivi che sono, sempre di più e quasi esclusivamente, mediatici.
Se da un lato resta immutato il bisogno dell’uomo di interrompere la quotidianità e sentirsi parte di un comune destino, dall’altro la mediaticità di tali eventi rende urgente comprenderne le nuove strutture rituali. Attraverso il ponte dei social e dei media, l’evento collettivo potrebbe infatti essere restituito in forma distorta o a ridursi a momento di puro consumismo, e l’esperienza comunitaria rischierebbe così di essere svuotata del suo più intimo significato. Insomma, come in ogni ambito, anche qui ci sono rischi e benefici da meditare.
Intanto, anche per quest’anno la settimana di Sanremo si è conclusa. Ci restano immagini iconiche, che saranno risemantizzate soprattutto sui social; argomenti di conversazione e anche un po’ di nostalgia, perché ci eravamo abituati a questo appuntamento fisso. Ci restano canzoni da continuare ad ascoltare perché, come ogni Settimana Santa insegna, tutti hanno ragione di credere nella propria resurrezione e così anche le canzoni sconfitte possono sperare nel successo dopo il Festival.