Ieri l'ok del Consiglio dei ministri. Il testo prevede che il premier venga eletto direttamente dai cittadini. Critiche dalle opposizioni ma è chiaro che non siamo innanzi alla volontà di instaurare una dittatura, ecco perché
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Il testo di riforma costituzionale fortemente voluto dal presidente Giorgia Meloni è stato approvato all'unanimità dal Consiglio dei ministri in data 3 novembre 2023. Prevede che il presidente del Consiglio venga eletto a suffragio universale con apposita votazione popolare che avviene contestualmente alle elezioni per le Camere con una stessa scheda. Prevede il rafforzamento della stabilità del governo con la durata dell'incarico del premier fissata in cinque anni. Prevede la norma "anti-ribaltone" ovvero l'eventuale sostituzione del presidente del Consiglio in carica può avvenire solo da parte di un parlamentare della maggioranza. Prevede un premio assegnato su base nazionale che assicura al partito o alla coalizione di partiti collegati al presidente del Consiglio il 55 per cento dei seggi parlamentari. Prevede che non vengano nominati dei senatori a vita. Sono questi i capisaldi del disegno di legge costituzionale voluto del Governo introducendo l'elezione diretta del presidente del Consiglio.
"La madre di tutte le riforme" come l'hanno definita la premier Giorgia Meloni. «Mettiamo fine alla stagione del trasformismo e dei governi tecnici», ha detto la presidente del Consiglio in conferenza stampa. Un testo che si pone anche come obiettivo quello di «preservare al massimo grado le prerogative del Presidente della Repubblica, figura chiave dell’unità nazionale», si legge nel comunicato finale del Consiglio dei ministri.
«La riforma costituzionale - si spiega nel comunicato del Cdm - ha l'obiettivo di rafforzare la stabilità dei governi, consentendo l’attuazione di indirizzi politici di medio-lungo periodo; consolidare il principio democratico, valorizzando il ruolo del corpo elettorale nella determinazione dell'indirizzo politico della nazione; favorire la coesione degli schieramenti elettorali; evitare il transfughismo e il trasformismo parlamentare».
La riforma sinteticamente e testualmente afferma quanto segue.
Elezione diretta del Presidente del consiglio
La riforma "introduce un meccanismo di legittimazione democratica diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, eletto a suffragio universale con apposita votazione popolare che si svolge contestualmente alle elezioni per le Camere, mediante una medesima scheda. Si prevede, inoltre, che il Presidente del Consiglio sia eletto nella Camera per la quale si è candidato e che, in ogni caso, sia necessariamente un parlamentare".
Il premio di maggioranza al 55%
"Affida alla legge la determinazione di un sistema elettorale delle Camere che, attraverso un premio assegnato su base nazionale, assicuri al partito o alla coalizione di partiti collegati al Presidente del Consiglio il 55 per cento dei seggi parlamentari, in modo da assicurare la governabilità".
La norma anti - ribaltone
La riforma "garantisce il rispetto del voto popolare e la continuità del mandato elettorale conferito dagli elettori, prevedendo che il Presidente del Consiglio dei ministri in carica possa essere sostituito solo da un parlamentare della maggioranza e solo al fine di proseguire nell’attuazione del medesimo programma di Governo. L'eventuale cessazione del mandato del sostituto così individuato determina lo scioglimento delle Camere".
Incarico di 5 anni al premier
"Fissa in cinque anni la durata dell'incarico del Presidente del Consiglio, favorendo la stabilità del Governo e dell’indirizzo politico".
Abolizione dei senatori a vita
La riforma, infine, «supera la categoria dei senatori a vita di nomina del Presidente della Repubblica, precisando che i senatori a vita già nominati restano comunque in carica». Il testo «si ispira a un criterio minimale di modifica della Costituzione vigente - si legge nel comunicato finale del Consiglio dei ministri - in modo da operare in continuità con la tradizione costituzionale e parlamentare italiana e da preservare al massimo grado le prerogative del Presidente della Repubblica, figura chiave dell’unità nazionale». Le opposizioni insorgono con i soliti tema a loro cari: dittatura e populismo.
I pareri di destra e sinistra
La segretaria del Pd: «Progetto pasticciato che limita le prerogative del Quirinale». Per la Schlein «Premierato pericoloso, smantella il parlamentarismo». Critiche anche dal resto dell’opposizione riassunte così: «È una riforma populista promossa da una leader populista».
Non la pensa così il centro destra e il presidente Meloni. È una «riforma costituzionale che introduce l'elezione diretta del presidente del consiglio e garantisce due obiettivi che dall'inizio ci siamo impegnati a realizzare: il diritto cittadini a decidere da chi farsi governare, mettendo fine a ribaltoni, giochi di palazzo e governi tecnici» o «passati sulla testa dei cittadini», ha detto la premier Giorgia Meloni in conferenza stampa.
L'altro obiettivo è «garantire che governi chi è stato scelto dal popolo» con «stabilità».
Vi consegno alcuni dati: negli ultimi 75 anni l’Italia ha avuto 68 governi con una vita media di circa 1,5 anni. Ecco cosa è accaduto in Italia e in Europa negli ultimi 20 anni (2002-2022): in Italia abbiamo avuto 9 presidenti del consiglio con 12 governi diversi, in Francia ci sono stati 4 presidenti, in Germania 3 cancellieri. Nello stesso periodo Francia e Germania sono cresciute di oltre il 20%, l’Italia meno del 4%.
Direi che questi numeri bastato a far comprendere la buona fede della riforma costituzionale, voluta e votata dal centro destra in Consiglio dei ministri. È chiaro che non siamo innanzi alla volontà di instaurare una dittatura anzi si vuol dare stabilità al paese, evitando che il voto degli italiani venga buttano nel cestino il giorno dopo con un tecnico deciso a tavolino come presidente del Consiglio e perché non magari riportare gli italiani a votare perché responsabilizzati ulteriormente.