Nessuno può mettere in dubbio l’autorevolezza e lo spessore umano del Presidente della Repubblica ma la sua riconferma al Quirinale mette in evidenza tutti i limiti della classe dirigente (ASCOLTA L'AUDIO)
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Con l’ottavo scrutinio, con un numero di preferenze (759) molto più elevato di quello richiesto, si è nello stesso momento dato il via al Mattarella bis e inferto un altro duro colpo all’autorevolezza, sempre più sbiadita, della politica.
A chi vorrà leggere le brevi riflessioni che seguono si chiede un piccolo sforzo: intendere le critiche alla rielezione del Presidente della Repubblica non come indirizzate alla persona di Sergio Mattarella (dalle indubbie, molteplici e più che pregevoli doti), ma come rivolte alla stigmatizzazione di un preciso accadimento, ovverosia la rielezione del Presidente della Repubblica praticata come unica via di uscita da un vero e proprio cul de sac.
Che cosa rappresenta il bis di Mattarella se non la sconfitta (conclamata) della politica? Di una politica che con le voci pur diverse dei suoi vari protagonisti non ha sottaciuto ma piuttosto sbandierato che con la rielezione sono state garantite stabilità e continuità. Ma la stabilità e la continuità (anche governativa) non le si garantisce con la (ri)elezione del Presidente della Repubblica.
Si badi bene, si è guardato alla carica istituzionale della Presidenza della Repubblica con la miopia della ‘convenienza’ partitica; si è ricercata la ‘convenienza’ immediata, il calcolo più strettamente politico e non si sono assicurate – per come avrebbe dovuto essere – prospettive di garanzia costituzionale di più lungo periodo, che sono alla base, per l’appunto, della scelta del garante della Costituzione. Di un garante che ieri è stato eletto (e diversamente non potrebbe essere) non per un tempo breve e determinato, ma per i prossimi sette anni.
Con la rielezione di Mattarella – seppure costituzionalmente non vietata – si è però definitivamente abbandonata la prassi che rifuggiva da un congelamento dei rapporti istituzionali attraverso una carica sempre vista e pensata come temporanea. Come si potrà d’ora in poi pensare a quella del Capo dello Stato come a una carica temporanea se essa, per ipotesi, potrà durare anche fino a ventuno anni (tre rielezioni!) tanto da determinare con l’irrigidimento delle funzioni presidenziali quasi un freno a quella continua ricerca di equilibrio che dovrebbe sottostare agli altri organi costituzionali e di indirizzo politico soggetti, invece, a una più frequente rinnovazione?
Dopo la rielezione di Giorgio Napolitano, la riconferma anche di Sergio Mattarella ha rafforzato, per il momento, un tratto istituzionale, ma probabilmente anche un secondo. In primo luogo, ha (ri)affermato una netta sconfitta della politica e del Parlamento e una rappresentazione dello stato comatoso della classe politica e della sua dirigenza. Dopo aver di fatto negato fiducia alla seconda carica dello Stato, al capo dei servizi segreti, allo stesso Presidente del Consiglio (in pole position almeno dalla conferenza stampa di fine anno), i partiti politici hanno palesato, davanti al corpo elettorale tutto, l’incapacità di eleggere il Capo dello Stato spogliandosi degli abiti di una maggioranza di governo scomposta e divisa. Non sono riusciti a convergere verso la ricerca del consenso verso una personalità pur da tutti auspicata come autorevole, super partes e condivisa. Tale obiettivo è parso subito irraggiungibile data, d’altronde, la prima candidatura da parte dell’europarlamentare Silvio Berlusconi, ma non è stata tanto una sconfitta dei peones, quanto piuttosto della dirigenza partitica, dei leader. È da diversi lustri che si è dato il commiato allo ‘Stato dei partiti’. Da oggi, anche i forti leader non esistono più e ciò contribuirà vieppiù alla costante assenza delle ideologie politiche legittimate dalla cornice del costituzionalismo democratico.
In secondo luogo – ma è ancora presto per dirlo – forse si riproporrà il dato fattuale dell’autolimitazione del Presidente. Questo è un dato che aprirebbe alla ‘rielezione a tempo’. L’Italia, come sistema Paese – e ciò lo impone la Carta costituzionale – abbisogna di una Presidenza stabile e forte e non già di un mandato a termine, che segnerebbe la torsione politica dell’istituzione di garanzia per eccellenza: quando Draghi non ‘servirà’ da collante alla maggioranza politica potrà diventare Presidente della Repubblica e allora il Presidente Mattarella potrà rassegnare le dimissioni. Si spera che a pensar male non si faccia peccato.
L’eccezione rappresentata da Napolitano, se sarà riproposta, non sarà più tale e ciò perché si verificherà più di una volta, e la rielezione ‘a tempo’ sarà nella disponibilità di una classe politica che potrà guardare – così come è avvenuto per quasi una settimana – alla elezione del Presidente della Repubblica come a una questione divisiva, come a una circostanza che sarebbe stato meglio non si fosse presentata, per giunta in un momento di crisi. Ma ogni periodo storico-politico ha la sua crisi, che non per questo deve essere affrontata limitandosi a confermare lo status quo; e non è sempre vero che la crisi attuale è peggiore di quella che l’ha preceduta solo perché a quella si è già data una risposta.
“Tutto cambia perché niente cambi” recita il celebre romanzo, pubblicato da Feltrinelli nel 1958, Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, e da allora non si perde occasione per riproporre tale meccanismo. La rielezione di Mattarella ha rotto anche questo noto e stanco richiamo per la politica (non solo) italiana, affermando una nuova e inedita narrazione, fino a poco tempo fa troppo ardita per la sua evidente e quasi sfacciata semplicità: affinché nulla cambi nulla deve essere cambiato.
Si pensi, venendo alla questione che noi interessa (PdR e Governo), all’esperienza di Giorgio Napolitano, osannato nell’occasione della rielezione per poi però arrivare a essere appellato come ‘il peggiore’ dei Presidenti, ma anche alle notizie che si stanno susseguendo in queste ore con riguardo alla stessa composizione del Governo Draghi.
Si spera che le prossime maggioranze politiche non siano così smemorate e ricordino la giornata di ieri e la richiesta di soccorso presentata al Presidente Mattarella che da questi, con spirito di servizio alle istituzioni, è stata prontamente accolta.
Chi scrive, intanto, non può che ricordare a se stesso che nel maggio del 2018, durante la formazione del Governo Conte I, alcuni di quelli che ieri hanno votato per la sua rielezione lo ‘minacciavano’ di porlo sotto stato di accusa per attentato alla Costituzione.
Non ci resta che augurare al Presidente Mattarella altri sette anni di paziente ed equilibrato lavoro.