Molto si è detto sulla conferenza stampa della Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Giorgia Meloni; si è parlato di vittimismo e di realismo, di politiche espansive e regressive, di equità e di diseguaglianza: si è detto, cioè, tutto e il suo contrario.

Personalmente sono stato colpito dalla idiosincrasia della intervistata verso le domande (anche se nessuno ha rintuzzato le sue risposte), ma su tutto dalla palesata carenza della più elementare conoscenza da parte della Presidente degli istituti del diritto costituzionale, materia che ella dovrebbe governare bene, anzi benissimo. Non vogliamo focalizzarci sulle risposte riguardanti il regionalismo differenziato e la riforma del premierato (o del Melonato), bensì comprendere cosa intendesse la Presidente per "democrazia", argomento in cui ha dimostrato notevoli lacune istituzionali e culturali.

Dopo aver citato a memoria l’articolo 135 della Costituzione, la Presidente ha rilasciato una risposta che qui si riporta nella sua interezza, sperando che il lettore ne trovi interessante la lettura: «Entro la fine di quest’anno, 2024, il Parlamento – che oggi ha una maggioranza di centrodestra – deve nominare quattro giudici della Corte costituzionale e quindi c’è [per gli avversari politici] un rischio di deriva autoritaria. Ora, questa idea della democrazia per la quale quando vince la sinistra chiaramente deve potere avere tutte le prerogative che riguardano la maggioranza e quando vince la destra no, diciamo che oltre a essere un po’ bizzarra temo che necessiti di alcune modifiche di carattere costituzionale; tipo potremmo scrivere all’articolo 135 che i giudici della Corte costituzionale sono nominati dal Pd sentito il parere di alcuni intellettuali e di Giuliano Amato. Non lo so se il Pd vuole presentare questa proposta di riforma, lo può fare, io non la voto, ma in ogni caso non credo che si possa dire che se una maggioranza di centrodestra esercita le stesse prerogative che la sinistra ha esercitato (ma proprio senza guardare in faccia a nessuno) questa possa essere considerato una deriva autoritaria. Penso che sia piuttosto una deriva autoritaria considerare che chi vince le elezioni se non è di sinistra non abbia gli stessi diritti degli altri. Nella mia idea di democrazia questo non esiste, e il mondo nel quale la sinistra ha più diritti degli altri per quello che mi riguarda è finito: tutti hanno gli stessi diritti, le stesse prerogative che sono scritte nei nostri regolamenti dalla nostra Costituzione. Gli italiani decidono chi debba esercitare quelle prerogative con le elezioni e questa è la normale democrazia. La democrazia che abbiamo conosciuto per cui la sinistra fa quello che vuole e chi non è di sinistra invece non ha diritti, non è il mio mondo e farò di tutto per combatterlo».
Ciò che ha detto non solo palesa ignoranza istituzionale e sgrammaticatura costituzionale ma soprattutto procura una non trascurabile apprensione, anche in prospettiva di riforma paventata del premierato!

Vediamo il perché, richiamando il contesto e la normativa.
In tema di elezione dei giudici costituzionali da parte del Parlamento in seduta comune, da sempre si è verificato che i tempi della politica non hanno rispettato quelli costituzionali e ordinamentali, tanto che l'organo eligente non ha mai eletto i giudici di propria spettanza nel termine previsto di un mese. Si è soliti imputare ciò alle alte maggioranze richieste per l’elezione di ogni singolo giudice. Quest’ultima prescinde sempre dalla maggioranza semplice ovvero assoluta, e infatti anche per gli scrutini successivi al terzo è richiesta una maggioranza che – pur se meno elevata rispetto a quelle precedenti – rimane qualificata; essa è più elevata, addirittura, rispetto a quella richiesta per l’elezione del Presidente della Repubblica, almeno dopo il terzo scrutinio: «[i] giudici della Corte costituzionale che nomina il Parlamento sono eletti da questo in seduta comune delle due Camere, a scrutinio segreto e con la maggioranza dei due terzi dei componenti l’Assemblea. Per gli scrutini successivi al terzo è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei componenti l’Assemblea», così l’art. 3 della l. cost. n. 2 del 1967.

Dal dato costituzionale rilevano due indicazioni: lo scrutinio segreto, che libera il parlamentare/elettore da logiche partitistiche e quindi da influenze eterodirette, e le elevate maggioranze richieste, che tendono a escludere possibili derive partigiane. Queste ultime, d’altronde, sono esplicitamente rifiutate dalla Costituzione: la trasposizione in Corte dei concreti rapporti di forza parlamentari, infatti, non è prevista a differenza di quanto avviene per altri organi, ai quali non deve essere assicurata indipendenza di giudizio (si pensi alle commissioni permanenti, a quelle d’inchiesta o ai delegati regionali da designarsi per l’elezione del Capo dello Stato). La funzione di quorum così elevati è quella di spoliticizzare al massimo l’elezione. Tutto l’opposto di quello che pensa la Presidente!

Intanto, ricordiamo al lettore che sui quattro giudici richiamati dalla Presidente, uno avrebbe già dovuto essere eletto lo scorso 13 novembre, ma nulla è avvenuto, mancando ben undici voti alla maggioranza meloniana (quantunque siano pochi, restano comunque indispensabili), e gli altri tre non potranno essere eletti prima del 21 dicembre 2024, giorno in cui cesseranno i giudici da sostituire. Prescindendo da questo dato fattuale, la Presidente incautamente prevede che l’elezione dei quattro giudici si realizzerà genericamente «entro la fine di quest’anno», quando concreto sarà il rischio di blocco dell’istituzione (il funzionamento della Corte richiede la presenza di almeno 11 giudici) in quanto – se nel frattempo non dovesse essere sostituito il giudice già scaduto – dal 21 dicembre 2024 mancheranno 4 giudici su 15, tanto che anche solo un serio raffreddore di un giudice che non potrà recarsi in udienza basterà a bloccare i lavori della Corte.

Se questo sarà il regalo per il prossimo Natale, ci auguriamo vivamente che il Parlamento in seduta comune dimostri un sussulto di dignità, approfondisca le sue conoscenze in materia di diritto costituzionale e ci regali qualcosa di più prezioso: una Costituzione materiale che sia coerente con quella formale e che il Parlamento in seduta comune smetta di abbandonarsi al suo «pigro starsene sdraiato in pose pigre, al suo ottuso sonnecchiare» (come il celebre personaggio di Goncarov in Oblamov).

Al contempo, è difficile comprendere come si possa banalizzare la democrazia con una retorica acritica del tipo “chi vince prende tutto”. Questo non è un esercizio democratico, bensì una forma di democratura, ovverosia un pendio scivoloso che porta inarrestabilmente verso una democrazia illiberale, che è, per l’appunto, una degenerazione di una forma di governo e di Stato che si stanno sempre più deteriorando. Sebbene non siamo assolutamente a questo punto, è fondamentale non tacere di fronte a una chiara deriva che ha già comportato a un impoverimento del linguaggio pubblico e a una eccessiva semplificazione e distorsione delle categorie fondamentali del diritto.

La democrazia costituzionale è limite al potere, è limite alla maggioranza, soprattutto quando si parla di organi di garanzia e su tutti della Corte costituzionale. Speriamo di non assistere inermi a ciò che si è visto per troppi anni, cioè la spartizione per quote ovverosia di accordi spartitori che nel caso concreto potrebbero portare a un “3 a me e 1 a te” o “2 a me, 1 a lui e 1 a lei”. Un sistema (una convenzione palesemente incostituzionale) che reggeva il sistema fondato da una legge prevalentemente proporzionale e che ora vorrebbe riproporsi alla luce della simultanea elezione di più giudici, anche se nelle parole della Meloni si legge la chiara volontà di politicizzare l’elezione dei giudici con l’idea che tutti sono nella disponibilità di chi ha vinto le elezioni: questa sarebbe – sempre per la Presidente – "democrazia".

*costituzionalista, DESF-UniCal