È una situazione più o meno fotocopia di quella che si ebbe alla fine degli anni ’80: se si stesse rispolverando quel disegno non è alla Sicilia che si deve guardare, ma alla Calabria
Tutti gli articoli di Opinioni
PHOTO
E ora per chi voterà la mafia? Sta per tornare alle strategie di oltre trent’anni fa?
Punto di partenza per capirlo: per tutelare il suo unico interesse (arricchire) la mafia non può stare all’opposizione; quindi, cerca spazi nel partito di maggioranza relativa (ricordate la Dc?) o, in subordine, in uno determinante, con i suoi voti, per garantire maggioranza parlamentare e coalizione governativa.
Punto secondo: la mafia ha bisogno di essere decisiva nei territori in cui sono concentrati i suoi affari e/o le sue radici. Quindi alcune zone al Sud (dove versa il sangue) e altre al Nord (dove versa i soldi) vengono particolarmente presidiate.
Punto terzo: lo scenario politico italiano è in fibrillazione. Gli equilibri consolidati non reggono più (il centrosinistra è frammentato; nel centrodestra la Lega che fa opposizione interna e Forza Italia ha perso il leader); le strategie e le persone di riferimento hanno poca consistenza, non durano da una legislatura all’altra (nel 2015 tutte le Regioni del Sud erano Pd e il partito raggiunse vette da Dc dei tempi d’oro; nel 2018 il M5S divenne dal niente e dal poco, il primo partito d’Italia; nel 2019 i sondaggi davano la Lega salviniana fra il 30 e il 40 per cento; oggi l’ex quasi niente di Giorgia Meloni ha tre volte e mezzo i voti della Lega e guida il governo. Sembra il Cantagiro: un’estate a testa, e la prossima c’è un nuovo ballo che spopola sulle spiagge).
Ma l’economia, anche quella criminale (e forse più questa che l’altra) ha bisogno di stabilità, di certezze: ci metti i soldi e devi dar loro i tempi di rientrare moltiplicati. E se sono sporchi, allora ti servono coperture, compromissioni: non puoi affidarti a qualcuno che poco dopo non conta niente.
Serve riposizionarsi. È una situazione più o meno fotocopia di quella che si ebbe alla fine degli anni ’80, dopo lo scossone di Mani Pulite, che sgretolò i sistemi di potere dominanti dal dopoguerra. Se ne venne fuori con l’irruzione di un protagonista squalificante ma abilissimo e gran seduttore, Silvio Berlusconi, con collezioni di scheletri negli armadi e colossali interessi privati prevalenti su quelli di Stato, che condusse un riassetto “a perdere” fin lì mai visto (personale politico quasi sempre di quart’ordine, salvo poche eccezioni, e dinanzi a cui “nani e ballerine” svettavano quali statisti e giganti del pensiero).
Berlusconi, però, non c’è più. E un altro non si vede (siamo messi così male, che non si può nemmeno dire se questo sia davvero un bene).
E cominciamo da qui: la mafia, a parità o quasi di situazione politica in disfacimento reagirà ora come fece a quel terremoto? Dai partiti fin lì di governo (Dc e Psi, soprattutto, perché i maggiori, e di cui non restarono manco le bucce), si ebbe al Nord il travaso nella Lega che, presentandosi come il nuovo, crebbe facendo propri tutti i difetti rimproverati agli altri (tangenti, corruzione, familismo amorale padano), con l’aggiunta di campagne razziste contro i meridionali.
Questo generò, a Sud, un’ondata di repulsione e risentimento che cercava rappresentanza politica. La mafia decise di cavalcarla (il crimine, come la politica e l’economia, coglie le occasioni, essendo una forma degenere di questa e di quella). Allora, egemone era Cosa Nostra siciliana, che pochi anni dopo, con la stagione degli attentati per costringere lo Stato alla trattativa, perse il ruolo di crimine organizzato di servizio dei poteri a cavallo fra l’economia legale e quella illegale (poteri che avevano e hanno estensione e referenti anche in partiti e in settori importanti delle istituzioni, quasi sempre tramite logge massoniche).
A tirare le fila o quali persone molto informate sui fatti, erano boss di primissimo piano della mafia allora vincente, che faceva capo ai corleonesi di Totò Riina: da Leoluca Bagarella ai fratelli Graviano. I quali fecero proprio il progetto dell’ideologo della Lega, il razzista (sua ammissione) e docente universitario Gianfranco Miglio: dividere in tre un’Italia federata, Nord, Centro e Sud, affidando il governo dei terroni alla mafia, in grado di gestire territorio ed economia in termini coloniali. In pratica, si sarebbe avuto una sorta di Stato mafioso aperto a ogni genere di affari, non solo droga, gioco d’azzardo, prostituzione, ma (con quei metodi e quelle compromissioni) anche nell’economia ufficialmente legale, come era Cuba prima della rivoluzione di Fidel Castro.
Miglio diceva di essere talmente allergico al Sud, che se era costretto ad andarci, già a Firenze ne trovava insopportabile la puzza (trascurava il dettaglio che a Sud si sarebbe fatto volentieri a meno di subire la sua). Ma ci teneva talmente tanto al suo progetto, che (rischiando la vita per insulto olfattivo), si recò addirittura a Catania, per discuterne con il boss Nitto Santapaola, latitante, a quanto si apprese da intercettazioni telefoniche di uno dei fratelli Graviano.
Nella mia Taranto direbbero: chi si somiglia, si piglia.
Così, nel 1990, si ebbe il proliferare di Movimenti finto-meridionalisti in tutte le regioni del Sud. Si cominciò con Sicilia Libera (che ebbe amorevoli cure del boss Leoluca Bagarella) e si proseguì con Calabria Libera, Abruzzo Libero, Lega Lucana… La cosa, nel coinvolgimento delle classi dirigenti meridionali, era tanto avanti e nota, che quando Leonardo Messina (mafioso poi pentitosi), nel 1991, disse a Gianfranco Micciché che avrebbe voluto uccidere Umberto Bossi, razzista contro i meridionali, gli fu risposto che non era il caso, perché con la Lega Nord c’era un progetto comune, sostenuto da Andreotti e dalla P2 di Licio Gelli.
Il disegno, quindi, era la creazione di una Lega-Sud, mettendo insieme le varie formazioni locali, che avrebbe dovuto apparentemente opporsi alla Lega Nord, ma di fatto ne sarebbe stata al servizio. Le indagini su quel periodo e quelle manovre rivelarono la presenza attiva e la collaborazione di esponenti dei servizi segreti, della massoneria, P2 in primis, della mafia, dell’estrema destra, della Lega Nord. Si ebbero due importanti convegni, a Roma (parteciparono pure Stefano Delle Chiaie e Adriano Tilgher, dirigenti di Avanguardia nazionale) e a Lamezia Terme, con rappresentanti della Lega Nord e della mafia, riferì l’inviato di Leoluca Bagarella, Tullio Cannella, poi pentito.
Ma se quelli erano gli ideologi, i poteri di riferimento, quasi mai presentabili, gli esecutori erano personaggi di scarso spessore rispetto ai loro burattinai, e per questo più facilmente spendibili: quasi sempre professionisti che, per le loro attività, erano o erano stati in rapporti con i boss. Esponenti di quella zona grigia della società civile (si fa per dire) che, nel migliore dei casi, finge di non sapere, perché i soldi non hanno odore: esperti di finanza, per riciclare i capitali (mafiosi? E io che ne so, devo acquistare una catena di supermercati per conto di una società. Se le trattative diventano difficili e c’è un attentato che spaventa la controparte, chi mi dice che non è una coincidenza?), operatori di borsa (sposto azioni da qui a lì, non sono tenuto a sapere di chi sono), notai (io mi limito a stipulare gli atti. Può darsi abbia garantito qualche facilitazione, ma per compravendite di quelle dimensioni, chi non lo farebbe?), legali di ogni genere, non solo penalisti (gli onesti non hanno bisogno di avvocati!), dirigenti di banca (se la sede da loro diretta ha clamorosi incrementi di depositi, vuoi che alla direzione centrale interessi sapere se si tratta di proventi del traffico di droga o del pizzo? Perché, il concorrente della banca di fronte li rifiuterebbe quei soldi? Ho fatto tassi di favore, mica perché quelli sono mafiosi, ma per l’entità dei loro depositi), funzionari pubblici (dai ministeri alle Regioni, agli enti, ai Comuni: giuste amicizie, parentele, per agevolare certi iter). E via di seguito.
Quel progetto evaporò quasi da un giorno all’altro, con la discesa in campo di Silvio Berlusconi. Tanta parte di quelle forze, quei burattinai e quei burattini confluì in Forza Italia (su questo sono ancora in piedi indagini e processi e chissà se ne vedremo mai la fine: E se ci fideremmo della fine ove la vedessimo).
Da allora sono successe tante cose e il sistema politico che sorse appare usurato. Nel frattempo, il Sud ha maturato una più ampia e diffusa coscienza di sé, maggiore consapevolezza delle ragioni anche storiche della sua emarginazione, delle colpe e delle complicità di tale situazione. E questo si sta tramutando in azione politica che sfugge al sistema dei partiti e di potere. Ma vale anche al contrario: la base per un piano politico quale quello Lega-mafia del 1990 è immensamente più ampia, adesso. E non c’è più un ingombrante Silvio Berlusconi a presidiare quello spazio politico, su cui pascola (per quanto ancora in uno scenario di partiti usa-e-getta?) una fragile Giorgia Meloni.
A esser egemone, però, oggi è la mafia calabrese, non più quella siciliana. Perché ne prendesse il posto, la ‘ndrangheta è stata aiutata a crescere all’ombra di poteri apparentemente occulti, di fatto notissimi ormai (e la proliferazione delle logge massoniche di riferimento la dice lunga), tanto da essere l’unica organizzazione criminale al mondo presente in tutti i continenti. Anche se conserva un fortissimo, arcaico radicamento territoriale, pur essendo modernissima, sempre un passo avanti nell’uso delle ultime tecnologie, dei nuovi mercati.
Quindi, se si stesse rispolverando quel disegno politico-mafioso-padano, non è alla Sicilia che si deve guardare, ma alla Calabria. La Lega a questo gioco era già disponibile 35 anni fa, e ora, con il rischio di scivolare sempre più in basso nelle percentuali a una cifra, dopo aver toccato il cielo dei sondaggi stellari, farebbe il patto con il diavolo per stare a galla; personaggi in odore di ‘ndrangheta sullo sfondo, con uso di professionisti della zona grigia ne trovano quanti ne vogliono: sgomitano per contendersi le briciole sotto la tavola (Montanelli ricordava un battuta non sua: C’è gente che pagherebbe per potersi vendere). Potrebbero essere esponenti dei poteri che si mossero nel ’90 a mettere insieme i pezzi. È così? È una possibilità e se è così, lo vedremo presto.
Perché, in politica è come in cucina: non si butta mai niente.
E ci sarebbe da aggiungere: purtroppo!