«Ma alle parole bisogna pur dare credito. Bisogna almeno fingere che somiglino abbastanza al loro significato. Al loro losco significato» (Fleur Jaeggy, “Sono il Fratello di XX”, Milano, Adelphi, 2014, p. 16). E allora, iniziamo a prenderle sul serio le parole, soprattutto quando queste sono pronunciate da chi ricopre ruoli istituzionali, con conseguenti alte responsabilità.

Devo ammettere che sono giorni in cui mi domando come sia possibile che nessuno chieda istituzionalmente le dimissioni di un Ministro della Cultura che non legge libri. Ah, sì, perché promette che li leggerà.

Devo, altresì, ammettere che sono giorni in cui mi domando come sia possibile che nessuno chieda istituzionalmente le dimissioni della seconda carica dello Stato, di colui che, per intenderci, è chiamato a supplire, in caso di bisogno, il Presidente della Repubblica (articolo 86 della Costituzione); di colui che, con le sue parole, a commento di una accusa di violenza sessuale rivolta a uno dei suoi figli, ha voluto dismettere i panni istituzionali che ora ricopre per indossare contemporaneamente più vesti, quelle dell’avvocato, del magistrato e perché no anche del cancelliere, confondendole con quelle di padre. E tutto ciò lo ha fatto senza poi impegnarsi a leggere le leggi, che si presume continuerà a non conoscere.

Ascoltando e prendendo sul serio le parole pronunciate, della seconda carica dello Stato ora si sa che “interroga e non dialoga” col figlio, che emette sentenze assolutorie e non pretende alcuna assunzione di responsabilità da parte di un figlio che, dalla ricostruzione offertaci dalla cronaca, pare abbia consumato un rapporto sessuale a tre in cui la sola ragazza - sempre a dire dell’avvocato/magistrato/cancelliere - aveva abusato di alcool e droga (di quella pesante): come se il fatto ricostruito fosse “normale”, per il sol fatto che, sempre a dire della “difesa”, la fattispecie non è penalmente rilevante, tanto che il “fatto non sussiste”.

Ecco cosa ammette la seconda carica dello Stato, sempre che si prendano sul serio le sue affermazioni: di non sapere che un rapporto sessuale richieda “giuridicamente” il consenso da parte di entrambi e per l’intera durata del rapporto e che tale consenso - stante lo stato cognitivo alterato - non poteva essere né espresso (dalla giovane donna) né presunto (dal giovane uomo).

Proprio per le parole pronunciate, pare che si sia dinanzi alla fattispecie di cui all’art. 609-bis c.p. per la quale: «Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto... »

Quindi, se il padre voleva difendere il figlio la linea difensiva scelta pare non essere la più adeguata! È il consenso che rende uomini e donne libere di decidere sul proprio corpo. È il consenso che permette che alcuni comportamenti penalmente rilevanti siano scriminati, direbbe un penalista. Ed è a tutti noto che la seconda carica dello Stato è anche (e soprattutto) un avvocato penalista.

Ma continuiamo a fare i professor(on)i ricordando che l’Italia ha ratificato un Trattato in tema di prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ed è tenuta al rispetto del diritto europeo. Per l’ordinamento italiano, quindi, valgono l’art. 18 della Convenzione di Istanbul («Le Parti si accertano che le misure adottate [...] mirino ad evitare la vittimizzazione secondaria») e la direttiva 2012/29/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.

Sono fonti del diritto che impegnano il nostro Stato a impedire la “vittimizzazione secondaria”. Questo l’ha sùbito ricordato con “competenza” l’on. Elly Schlein che dimostra (senza doverlo sbandierare) come abbia letto più di un libro e molto più di un atto normativo.

Per come ha ricordato benissimo la giudice Di Nicola durante una intervista su La Repubblica di qualche giorno fa, per non incorrere nella “vittimizzazione secondaria” non bisogna accusare una donna di essere responsabile del reato che denuncia. Perché si prevede ciò? Perché, le donne, anche temendo di essere accusate di tale vittimizzazione, non denunciano. Si colpevolizzano. Ecco perché è possibile non denunciare subito; ecco perché la legge (evidentemente sconosciuta all’avvocato/magistrato/cancelliere) prevede che la violenza sessuale sia punibile a querela della persona offesa entro un termine relativamente esteso, comunque più ampio di quello ordinario, ovverosia di 12 mesi (art. 609 “septies” c.p.).

A questo punto visto che dalla seconda carica dello Stato non è giunta neanche la promessa di “leggere la legge” (a differenza delle promesse del suo collega Sangiuliano che almeno un libricino sotto l’ombrellone ci si aspetta che lo legga) - allora non si comprende come non si chiedano le dimissioni del Presidente del Senato. Richiesta di dimissioni che poi sarà rinviata al mittente; del resto, cosa c’è di grave nello screditare, di minare la reputazione di una ragazza che ha denunciato un uomo di violenza sessuale?

Alla luce, comunque, del rischio di “vittimizzazione secondaria”, come solo è possibile immaginare che sia eccessivo il tempo di 40 giorni per denunciare un uomo, che per di più è figlio della seconda carica dello Stato e quindi di una delle famiglie più potenti e influenti d’Italia?

Non si conoscono i fatti e si spera che non si sia consumato alcun reato, ma al momento ciò che appare ed è incontestabile e che si è voluto addossare alla querelante lo stigma di chi provoca e di chi, in fin dei conti, se l’è andata a cercare! Che qualcuno faccia presente alla seconda carica dello Stato che è configurabile a suo carico una “vittimizzazione secondaria”, anche se è immaginabile che a sua discolpa potrà sostenere di averlo fatto “a sua insaputa” o, per usare una espressione sgradevole oltre che abusata, che le sue “parole sono state fraintese”.

E allora, visto che siamo a luglio si avvicina agosto (il mese in cui per antonomasia si legge), ci si permette di consigliare qualche libro che si presume (ma questa è chiaramente una illazione) che la seconda carica dello Stato non conosca e non abbia letto, così come, forse - (l’avverbio di dubbio è d’obbligo) -, neanche il Ministro della cultura: fra i romanzi, almeno, Miriam Toews, “Donne che parlano” Marco y Marcos, 2018; Alice Sebold, Lucky, Edizioni e/o, 2018; Aixa de la Cruz, “Transito”, Perrone, 2021; Belén Lopez Peiró, Perché tornavi ogni state, La nuova frontiera, 2022; fra i saggi, almeno, Martha C. Nussbaum, “Orgoglio tossico”, Il Saggiatore, 2023.
*costituzionalista DESF-UniCal